23 Luglio 2025 - POLITICA INTERNA | Separazione delle carriere

Giustizia, la riforma approda quindi al referendum nel 2026

Dopo l’ok del Senato, il testo torna in Parlamento ma non raggiungerà i due terzi. All’orizzonte una consultazione popolare senza quorum. Resta il nodo della ristrutturazione del Csm

ROMA – Sarà il popolo, nella primavera del 2026, a dire l’ultima parola sulla riforma costituzionale della giustizia. Dopo l’approvazione al Senato della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, il disegno di legge proseguirà il suo iter con due ulteriori passaggi parlamentari, ma con ogni probabilità non raggiungerà la soglia dei due terzi dei voti richiesta per evitare il referendum. Ed è proprio questo, secondo molti osservatori, l’esito a cui la maggioranza punta da tempo: un referendum confermativo senza quorum, dove a decidere sarà anche una eventuale minoranza attiva di elettori.

“Un passo importante verso un impegno preso con gli italiani”, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni commentando il voto di Palazzo Madama. Ma sotto l’apparente entusiasmo, serpeggiano incertezze e criticità: non solo per il contenuto della riforma, ma per la dinamica che rischia di legittimarla con una partecipazione elettorale limitata. In assenza di quorum, sarà sufficiente un’affluenza anche molto bassa per rendere valida la consultazione. Ed è già alto il rischio che a prevalere siano le posizioni più polarizzate.

Il cuore del conflitto: non solo le carriere separate

Sebbene il dibattito pubblico si sia concentrato soprattutto sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri – misura interpretata da molti come un tentativo di indebolire l’autonomia della magistratura requirente – la parte più controversa della riforma, secondo gli stessi magistrati, riguarda la ristrutturazione del Consiglio superiore della magistratura (Csm).

Lo ha denunciato anche Cesare Parodi, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, sottolineando che la previsione di un doppio Csm, con membri selezionati anche per sorteggio, potrebbe togliere garanzie ai cittadini e non riuscire affatto a eliminare il rischio di nuovi correntismi. “L’autogoverno – ha ricordato Parodi – non serve a proteggere i magistrati, ma a garantire un sistema che funzioni. E questa riforma rischia di indebolirne l’essenza”.

Il governo, invece, rivendica la necessità del sorteggio come unico mezzo per spezzare l’influenza delle correnti interne alla magistratura, che negli anni hanno eroso la credibilità e l’indipendenza percepita dell’organo di autogoverno.

Tajani e il richiamo a Berlusconi: strategia o boomerang?

Il vicepremier Antonio Tajani ha dichiarato che con questo progetto si realizza “un obiettivo storico di Silvio Berlusconi”, rivendicando con forza l’impronta politica della riforma. Ma proprio questo richiamo rischia di inasprire ulteriormente il fronte critico. Per molti osservatori, l’identificazione del provvedimento con l’eredità berlusconiana aumenta la diffidenza di una parte del Paese e rafforza l’opposizione della magistratura.

Come ha sottolineato Dario Franceschini (Pd), la scelta della maggioranza potrebbe rivelarsi “un boomerang”. Il referendum, infatti, cristallizza il dibattito su un tema altamente tecnico e delicato in una contrapposizione da campagna elettorale, dove vincono le semplificazioni e le bandiere ideologiche, non sempre le argomentazioni ponderate.

Un paese diviso sulla giustizia

La riforma della giustizia è rimasta l’unica grande bandiera riformatrice del governo ancora in campo. Ma rischia di diventare un terreno di divisione nazionale, proprio nel momento in cui ci sarebbe bisogno di consenso largo su un tema fondamentale per il funzionamento dello Stato. L’alternativa, temono in molti, è che a decidere sul futuro della giustizia italiana sia una minoranza politicamente motivata, mentre la maggioranza silenziosa si tiene alla larga dalle urne.


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