Il mancato versamento del contributo unificato all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa non può essere automaticamente imputato all’avvocato difensore. Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 410/2024 depositata il 16 giugno 2025, accogliendo il ricorso di un professionista precedentemente sanzionato dal Consiglio distrettuale di disciplina per non aver provveduto al pagamento del contributo in ben 126 procedimenti.
Il caso: la censura e il ricorso
Il procedimento disciplinare aveva portato all’irrogazione della censura nei confronti del legale, colpevole – secondo l’organo territoriale – di aver omesso il versamento del contributo unificato, compromettendo l’attività degli uffici giudiziari e ledendo, in prospettiva, il decoro della categoria.
L’avvocato sanzionato si era difeso sostenendo che i clienti coinvolti non godevano del patrocinio a spese dello Stato e non erano in grado di sostenere le spese processuali, versando in una condizione economica già gravemente compromessa da mutui e finanziamenti arretrati. L’obbligo del versamento, sosteneva il ricorrente, non può essere trasferito sul difensore, tanto meno quando la condizione economica dei clienti rendeva impraticabile la contribuzione.
Il principio affermato dal CNF
Il Consiglio Nazionale Forense ha accolto il ricorso, precisando che la responsabilità per il mancato pagamento del contributo unificato non ricade sull’avvocato, il quale non è solidalmente obbligato nei confronti dell’erario. L’eventuale omissione non può quindi integrare, di per sé, un illecito disciplinare, a meno che non siano provate condotte ulteriori di scarsa correttezza o mala fede.
Secondo il CNF, la condotta del legale non viola i doveri di lealtà o correttezza, né può essere interpretata come lesiva dell’immagine dell’intera categoria. Il fatto che altri professionisti scelgano di anticipare il contributo non crea un obbligo generalizzato o un parametro deontologico, tanto più in presenza di clienti privi di mezzi e in assenza di disposizioni normative che impongano al difensore l’anticipazione delle spese.
L’importanza della corretta imputazione dell’infrazione
Al centro della decisione c’è la corretta attribuzione soggettiva della violazione: l’omesso pagamento è, infatti, un’infrazione riferibile al cliente e non al professionista incaricato, a meno che quest’ultimo non si sia assunto esplicitamente l’onere economico o abbia agito con dolo o colpa grave. Il CNF ha inoltre sottolineato che non può essere costruita una responsabilità deontologica per il solo fatto di aver accettato il mandato conoscendo la precarietà economica del cliente, in assenza di condotte elusive o scorrette.
Le ricadute sistemiche
La pronuncia si inserisce nel più ampio dibattito sull’equilibrio tra diritto di difesa e accesso alla giustizia, da un lato, e obblighi contributivi dall’altro. In particolare, evidenzia la necessità di evitare che l’avvocato venga surrettiziamente trasformato in garante fiscale del cliente, soprattutto in assenza di strumenti efficaci di tutela del credito professionale.
Il CNF ribadisce così un principio fondamentale: l’avvocato assiste, non sostituisce il cliente nei rapporti con l’amministrazione tributaria. E ogni forma di anticipazione delle spese resta una scelta personale, mai un obbligo deontologico.
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