12 Luglio 2025 - RISARCIMENTI | La sentenza

Responsabilità sanitaria, accertamento tecnico e rimborso spese: quando l’azione è inammissibile

La Cassazione ribadisce: il professionista può chiedere l’accertamento negativo della propria responsabilità sanitaria solo se esiste un interesse concreto e attuale a chiarire una controversia, non per recuperare le spese della consulenza tecnica preventiva.

Non basta sostenere di aver ragione per adire il giudice: occorre che la causa abbia una reale utilità pratica. È il principio riaffermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13385 del 20 maggio 2025, che ha rigettato il ricorso di un odontoiatra il quale, dopo essere uscito indenne da un accertamento tecnico preventivo (Atp) in materia sanitaria, aveva promosso un giudizio di accertamento negativo della propria responsabilità, finalizzato esclusivamente a ottenere il rimborso delle spese sostenute per consulenti e legali.

Secondo la Suprema Corte, un’azione di accertamento negativo è ammissibile solo se sorretta da un concreto e attuale interesse a ottenere l’accertamento richiesto, così come stabilito dall’articolo 100 del Codice di procedura civile. Non è sufficiente, invece, che l’unico scopo sia recuperare le spese affrontate durante la fase di Atp, che la legge considera fase stragiudiziale e non giudiziale.

La vicenda: accertamento favorevole ma richiesta di rimborso respinta

Il caso nasce da una procedura di accertamento tecnico preventivo avviata da un paziente nei confronti di un odontoiatra, per verificare l’eventuale responsabilità sanitaria del professionista. L’esito della consulenza fu favorevole al medico, escludendo ogni profilo di colpa. Tuttavia, il sanitario ha deciso di promuovere ugualmente un giudizio di accertamento negativo, con il solo obiettivo di ottenere il rimborso delle spese sostenute nella fase di Atp.

Respinto sia in appello che in Cassazione, il ricorso è stato giudicato inammissibile. I giudici di legittimità hanno osservato che il paziente convenuto non aveva più sollevato alcuna contestazione o pretesa risarcitoria dopo l’Atp, assumendo un atteggiamento processuale inerte. Venuto meno, quindi, ogni interesse concreto a chiarire la situazione controversa, è mancata la legittimazione ad agire.

Le spese di Atp: stragiudiziali e non di soccombenza

La Cassazione ha ricordato che le spese sostenute in un procedimento di Atp ex articolo 696-bis c.p.c. — condizione di procedibilità per le cause di responsabilità sanitaria — non sono considerate spese processuali ma spese stragiudiziali. Non possono dunque essere liquidate come spese di soccombenza ai sensi dell’articolo 91 c.p.c. al di fuori di un giudizio ordinario di merito. Possono costituire una voce di danno emergente, e come tali essere richieste in rimborso, solo nell’ambito di una causa effettiva in cui la responsabilità sia ancora controversa.

Se la parte avversa non ha più nulla da chiedere o contestare, manca l’interesse ad agire. E l’azione, chiarisce la Suprema Corte, non può essere utilizzata per conseguire unicamente il rimborso delle spese di Atp, pena la sua inammissibilità.

Il principio: l’interesse ad agire deve essere concreto, attuale e non strumentale

Con questa ordinanza, la Cassazione ha riaffermato il principio secondo cui un’azione di accertamento negativo è ammissibile solo se volta a definire una reale situazione di incertezza giuridica tra le parti, e non può essere strumentalizzata per scopi meramente patrimoniali o risarcitori riferiti a spese stragiudiziali.

Un chiarimento utile per il contenzioso in materia di responsabilità sanitaria, dove la procedura di Atp rappresenta spesso una fase determinante per evitare o deflazionare il processo ordinario. Ma proprio per questa ragione, i giudici di merito e di legittimità vigilano affinché non se ne faccia un uso improprio o pretestuoso.


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