In tema di mandato di arresto europeo (MAE), il diritto alla salute e alla vita resta prevalente anche rispetto agli obblighi di cooperazione giudiziaria tra Stati membri. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24100 del 2025, fissando un principio di diritto di rilievo per tutti i futuri casi analoghi: la consegna di un imputato o condannato può essere rifiutata se nel Paese richiedente non esistono misure alternative al carcere, come la detenzione domiciliare, per i soggetti affetti da gravi patologie, né strutture adeguate a garantirne le cure.
Il caso: grave depressione e rischio suicidario
La pronuncia trae origine dal caso di un cittadino condannato in via definitiva in Romania a sei anni e otto mesi di reclusione per corruzione. L’uomo, affetto da una grave forma di depressione con rischio suicidario accertato, era stato sottoposto in Italia a un regime di detenzione domiciliare con terapie psichiatriche intensive.
Alla richiesta di consegna avanzata dalle autorità romene, la Corte d’Appello, richiamando la sentenza della Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, causa C-699/21, E.D.L.) e la decisione n. 177/2023 della Corte Costituzionale italiana, ha deciso di sospendere la consegna, dichiarandola definitivamente inattuabile. Motivo? L’ordinamento rumeno non prevede la possibilità di una detenzione domiciliare con cure psichiatriche equivalenti, mentre l’ingresso in carcere comporterebbe un rischio concreto e grave per la vita e la salute del condannato.
Il principio affermato dalla Cassazione
Nel respingere il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bari, la Suprema Corte ha affermato un principio di diritto:
“In tema di mandato di arresto europeo, qualora successivamente alla decisione che dispone la consegna emergano motivi seri e comprovati di ritenere che la consegna esponga la persona richiesta ad un rischio reale di riduzione significativa della sua aspettativa di vita o di un deterioramento rapido e irrimediabile del suo stato di salute, la Corte di Appello, quale giudice dell’esecuzione, può rifiutare la consegna con ordinanza ricorribile in Cassazione”.
Salvaguardare la persona oltre la cooperazione giudiziaria
Una posizione perfettamente in linea con i più recenti approdi della giurisprudenza europea, che impone agli Stati membri di assicurare che l’esecuzione di un MAE non determini trattamenti inumani o degradanti, come previsto dall’articolo 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
La Corte ha chiarito che, diversamente dai casi di pericolo generico legato a condizioni strutturali carenti del sistema carcerario di uno Stato, questa decisione si basa sulla specifica situazione personale del soggetto richiesto in consegna e sulla concreta inadeguatezza del trattamento sanitario disponibile nel Paese richiedente.
Decisione motivata e fondata su criteri rigorosi
Nel confermare la legittimità del rifiuto alla consegna, la Cassazione ha evidenziato che la valutazione della Corte d’Appello non è stata arbitraria né apodittica, bensì fondata su dettagliate relazioni mediche e informazioni ufficiali ricevute dallo Stato estero.
È stato così accertato che in Romania non esiste una misura alternativa alla detenzione in carcere per malati psichiatrici gravi né è disponibile una terapia analoga a quella somministrata in Italia, circostanza che avrebbe esposto l’uomo a un rischio immediato di suicidio e a un rapido deterioramento delle condizioni di salute.
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