Redazione 30 Giugno 2025

Professionisti stressati e digitali a metà: il vero lusso è il tempo libero

Studi professionali italiani sempre più schiacciati da burocrazia e scadenze, con il rischio di trascurare innovazione e qualità della vita. È questo il quadro che emerge dall’edizione 2025 del Rapporto dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, che sarà presentato il prossimo 1° luglio a Milano.

L’indagine, condotta su un campione di oltre 1.600 studi professionali tra avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari, restituisce l’immagine di una categoria affaticata, impegnata quotidianamente a rincorrere adempimenti normativi e richieste burocratiche, senza che a questo corrisponda un reale incremento della redditività.

Equilibrio vita-lavoro: la priorità trasversale

Il dato più evidente riguarda il desiderio diffuso di un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata, che si attesta ai primi posti tra le priorità per oltre il 70% degli intervistati. Una percentuale che sale all’81% tra i commercialisti e si mantiene stabile anche tra gli studi più piccoli, dove otto su dieci indicano questo tema come centrale.

Negli ultimi anni — come osserva Claudio Rorato, direttore scientifico dell’Osservatorio, sul Sole24Ore — i professionisti hanno puntato tutto sulla produttività, accelerando i tempi di lavoro senza modificare davvero i processi e i modelli organizzativi. Questo ha finito per esaurire molte energie e per limitare la capacità di cogliere le opportunità che la tecnologia offre anche in termini di efficienza e tempo liberato.

Tecnologia sì, ma ancora ai margini

Se da un lato la fatica gestionale lascia poco spazio a nuove progettualità, dall’altro gli investimenti in tecnologie digitali continuano a crescere: nel 2024 la spesa complessiva del settore ha toccato i 1,95 miliardi di euro, con una crescita del +3,5% sull’anno precedente. A guidare la classifica sono gli studi multidisciplinari, che hanno speso mediamente 28.200 euro a testa in soluzioni digitali.

Tra gli strumenti più diffusi figurano ancora i sistemi di videoconferenza — retaggio della pandemia — e le VPN, presenti in oltre il 70% degli studi. Più timida, invece, l’adozione di strumenti di business intelligence e intelligenza artificiale: quest’ultima è in uso solo nel 21% dei grandi studi (con oltre 29 collaboratori) e nel 10% di quelli medio-piccoli.

Un prudente approccio che, secondo Rorato, è in parte giustificato: sulle spalle dei professionisti gravano responsabilità civili e penali importanti. Tuttavia, anche tra i piccoli si iniziano a fare sperimentazioni e test, segno di un lento ma progressivo interesse verso le potenzialità di questi strumenti.

Servizi innovativi ancora poco sviluppati

Nonostante le risorse investite in tecnologia, resta ancora limitata l’offerta di servizi a valore aggiunto, come l’assistenza su bandi, incentivi o progetti di transizione digitale e sostenibile. Secondo il rapporto, questa tipologia di attività non interessa al 65% dei piccoli studi, al 59% dei medi e persino al 49% dei grandi.

Una certa vivacità si intravede solo tra i commercialisti e negli studi multidisciplinari, dove circa uno su quattro dichiara di avere progetti in fase di sviluppo per offrire questo tipo di consulenza.

Le preoccupazioni per il futuro

Tra le preoccupazioni più sentite dai professionisti spiccano, senza sorpresa, l’inasprimento degli obblighi normativi senza corrispondenti aumenti di redditività (segnalata dal 64% dei commercialisti e dal 55% dei consulenti del lavoro), seguita dalla concorrenza dei grandi operatori di mercato e dall’uso di tecnologie avanzate da parte di altri player.

Preoccupazioni che, unite alla difficoltà di ampliare il portafoglio clienti — oggi ancora fortemente legato al passaparola — portano Rorato a sollecitare un dibattito istituzionale:  le limitazioni deontologiche e normative in materia di marketing e promozione vanno ripensate, perché rischiano di frenare la competitività del settore.


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