Redazione 26 Giugno 2025

Post sui social e chat private: niente licenziamento senza regole chiare

Non è lecito per un datore di lavoro utilizzare post pubblicati dal dipendente sul proprio profilo social personale, né conversazioni avvenute su app di messaggistica, come motivo per un licenziamento disciplinare. È quanto ha stabilito il Garante per la protezione dei dati personali con un’ingiunzione emanata lo scorso 21 maggio (n. 288), sanzionando un’azienda con una multa da 420 mila euro.

Al centro della vicenda, la decisione di una società di interrompere il rapporto con un proprio dipendente sulla base di contenuti condivisi in ambienti digitali ritenuti privati. Il datore di lavoro aveva tentato di difendersi sostenendo di aver ricevuto i post e i messaggi da terzi e di non averli cercati attivamente, contestando inoltre la violazione della social media policy aziendale da parte del lavoratore.

Ma per il Garante questo non basta: una volta accertato il carattere privato di post e conversazioni — soprattutto se diffusi in ambienti a accesso limitato — il datore di lavoro non può farne uso per fini disciplinari. “Non è sufficiente che un contenuto sia tecnicamente accessibile online per poter essere utilizzato liberamente,” si legge nel provvedimento. La libertà di espressione del dipendente, tuttavia, non è assoluta: resta comunque soggetta al rispetto della reputazione aziendale, ai doveri di fedeltà e alla correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro.

Il tema rimane delicato, soprattutto nel pubblico impiego, dove il codice di condotta (DPR 62/2013) consente di valutare anche comportamenti extralavorativi ai fini disciplinari. Ma, chiarisce il Garante, occorre sempre una cornice normativa specifica e rispettosa della privacy.

Non è l’unico intervento recente sul fronte dei diritti digitali sul lavoro. Con un altro provvedimento del 27 marzo (n.167), il Garante ha vietato l’uso delle impronte digitali per la rilevazione delle presenze e la prevenzione di atti vandalici, infliggendo una sanzione di 4 mila euro a un datore di lavoro. Neppure il consenso del lavoratore è ritenuto sufficiente a legittimare il trattamento di dati biometrici, in assenza di una norma specifica.

Infine, in tema di marketing, l’Autorità ha imposto (prov. n. 330 del 4/6/ 2025) l’obbligo del sistema di double opt-in per l’invio di e-mail promozionali, ribadendo che, anche in mancanza di una norma esplicita, i principi generali impongono una tutela rafforzata del consenso degli utenti. Una scelta che ha già portato a sanzioni, come quella da 45 mila euro inflitta a un’azienda per aver inviato comunicazioni pubblicitarie senza le dovute conferme.


LEGGI ANCHE

G7 delle Avvocature: Intelligenza Artificiale e Valori Democratici

La Pontificia Università della Santa Croce a Roma ospiterà martedì 16 aprile a partire dalle ore 10 il G7 delle Avvocature, un evento di grande…

Una legge contro il Body Shaming

Lo stigma del ciccione attraversa tutte le età, soprattutto nel mondo del web, visto l’alto numero di haters spietati. Attaccare una persona per il suo…

cassazione relatore

Deposito telematico degli atti: principi di diritto

Cosa dice la Cassazione sul deposito telematico degli atti La Cassazione ha recentemente chiarito alcuni importanti principi sul deposito telematico degli atti, in particolare in…

TORNA ALLE NOTIZIE

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto