19 Giugno 2025 - PROFESSIONI | La legge incompiuta

Equo compenso, i professionisti tornano a chiedere tutele: compensi dignitosi e previdenza a rischio

Nonostante la legge del 2023, molte categorie restano escluse da una reale applicazione delle regole sull’equo compenso. Le associazioni rilanciano la richiesta di criteri chiari e tariffe proporzionate al valore delle prestazioni.

Il dibattito sull’equo compenso per i professionisti torna a occupare le cronache parlamentari e stavolta a rilanciarlo sono le associazioni dei medici liberi professionisti, con in testa Amolp. Il tema è chiaro: regolare e tutelare il diritto a un compenso dignitoso e proporzionato per i medici che operano in rapporto libero professionale, spesso con società sanitarie di capitale. Una questione che, oltre al reddito dei professionisti, tocca anche la sostenibilità del sistema previdenziale e la qualità dell’assistenza sanitaria stessa.

A riaccendere i riflettori è stato il disegno di legge presentato dalla senatrice Erika Stefani, già promotrice nel 2023 della legge n. 49 sull’equo compenso per i professionisti. Una norma che aveva l’obiettivo di arginare gli squilibri nei rapporti tra i professionisti e le cosiddette “controparti forti” — cioè imprese e società di rilevanti dimensioni o fatturato, capaci di imporre condizioni contrattuali penalizzanti per il singolo prestatore d’opera.

Una norma rimasta incompiuta

La legge del 2023 aveva segnato un passo avanti nel riconoscere il valore del lavoro intellettuale. Stabiliva, infatti, che fosse da considerare equo il compenso conforme a parametri fissati da decreti ministeriali e prevedeva la nullità delle clausole che avessero fissato tariffe inferiori. Veniva inoltre richiesto agli Ordini professionali di adottare norme deontologiche per sanzionare chi avesse violato il principio.

A oggi, però, solo alcune professioni si sono realmente mosse per dare concreta attuazione alla legge: ingegneri, periti industriali, geometri e — in ritardo — avvocati e commercialisti. In ambito sanitario, alcune categorie come infermieri, psicologi e veterinari hanno iniziato a sensibilizzarsi sulla proporzionalità tra prestazione e onorario. Restano però indietro proprio i medici, spesso vincolati a compensi al ribasso e privi di una reale tutela normativa.

Difficoltà storiche e criticità persistenti

Il problema nasce da lontano. Le tariffe minime obbligatorie, abolite dalla legge Bersani del 2007, avrebbero dovuto essere sostituite da una maggiore libertà contrattuale. Invece, questa libertà si è spesso tradotta in una corsa al ribasso, dove il valore delle prestazioni sanitarie è stato progressivamente svilito. Negli anni, alcuni correttivi sono stati introdotti: la legge n. 27 del 2012 per gli avvocati e una sentenza della Corte di giustizia UE del 2015 che ha riconosciuto la facoltà degli Stati membri di fissare compensi minimi per tutelare il decoro delle prestazioni professionali.

Nel settore sanitario, tuttavia, la situazione resta confusa. I tariffari minimi sono scomparsi, ma le criticità sono rimaste. Non di rado la magistratura chiede agli Ordini professionali di esprimersi sulla congruità dei compensi per perizie o consulenze. Singoli medici si ritrovano, poi, a fronteggiare contestazioni di pazienti per compensi ritenuti eccessivi o mal rapportati all’entità della prestazione, specialmente quando si tratta di valutare l’apporto immateriale e intellettuale della prestazione medica.

Il rischio di svilire la professione

Questo scenario ha prodotto una pericolosa deriva: onorari inadeguati, giustificati da accordi di convenienza apparente o mascherati dietro pacchetti prestazionali di quantità. Una pratica che contribuisce a svalutare non solo il lavoro medico, ma anche la percezione sociale della professione, sempre più assimilata a un servizio commerciale, più che a un’attività di alta responsabilità e valore pubblico.

Verso una possibile riforma

Da qui la richiesta delle associazioni di categoria di estendere in maniera effettiva e concreta il principio dell’equo compenso anche ai medici, per tutelare non solo il loro reddito, ma anche il corretto versamento dei contributi previdenziali e la sostenibilità di un sistema già fortemente sotto pressione.

La proposta della senatrice Stefani mira proprio a questo: assicurare parità di trattamento, equità contributiva, miglioramento dei rapporti convenzionali con le assicurazioni — spesso accusate di sottostimare le prestazioni — e, in ultima istanza, valorizzare la professione sanitaria, ridandole il ruolo sociale e civile che merita.


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