Chi spera di sanare vecchie costruzioni abusive facendo leva su pareri tardivi o sull’età dell’immobile dovrà ricredersi. La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 20665 del 2025, ha confermato con fermezza un principio già affermato più volte dalla giurisprudenza: il condono edilizio non è ammissibile oltre i termini stabiliti dalla legge.
Il caso in esame riguardava un ricorrente che, nel tentativo di evitare la demolizione di un’opera abusiva, aveva prodotto un parere tecnico-legale redatto anni dopo la scadenza per richiedere il condono. Una manovra giudicata irrilevante dai giudici di legittimità, perché priva di qualsiasi fondamento normativo. La legge, infatti, non prevede alcuna possibilità di riesame tardivo o condono retroattivo basato su documentazioni successive.
Nella sua decisione, la Suprema Corte ha precisato che il termine per presentare l’istanza di sanatoria edilizia rappresenta un limite invalicabile: una volta scaduto, non è più consentito né sanare l’abuso, né sospendere l’esecutività dell’ordine di demolizione. Nemmeno eventuali interventi successivi sull’immobile, come modifiche o riduzioni volumetriche, possono riportare l’opera entro i parametri richiesti per la regolarizzazione.
Inoltre, i giudici hanno escluso che la mera anzianità dell’abuso edilizio — anche se risalente a oltre trent’anni prima — possa di per sé giustificare la sospensione della demolizione. L’unico presupposto valido resta l’esistenza di una regolare istanza di condono presentata nei termini previsti dalle normative all’epoca vigenti.
La Cassazione ha così ribadito un principio chiaro: la regolarizzazione edilizia è possibile solo se richiesta tempestivamente e secondo le modalità fissate dal legislatore. Qualsiasi tentativo successivo di ottenere una sanatoria al di fuori di queste regole è destinato a fallire, confermando la linea di rigore della giurisprudenza in materia di abusivismo edilizio.
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