ROMA — Non conta quando il danno viene materialmente provocato, ma quando chi lo subisce può effettivamente accorgersene. È questo il principio ribadito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 13092 del 16 maggio 2025, intervenendo su una controversia relativa alla gestione di fondi da parte di un amministratore di un’associazione sindacale non riconosciuta.
Il caso riguarda un amministratore condannato in primo grado a restituire oltre 233mila euro, somma sottratta all’associazione attraverso movimentazioni extracontabili. L’amministratore aveva infatti gestito entrate e uscite senza registrarle ufficialmente, in violazione delle norme statutarie e delle direttive sindacali nazionali, che imponevano trasparenza nella gestione contabile.
La Corte d’appello aveva ritenuto che la prescrizione dovesse decorrere dal momento in cui i fatti illeciti erano stati commessi. Ma la Cassazione ha ribaltato l’impostazione, ricordando che in materia di risarcimento da fatto illecito, il termine di prescrizione parte dal momento in cui il danno diviene percepibile e conoscibile con ordinaria diligenza da parte del danneggiato.
La Suprema Corte ha sottolineato come nel corso degli anni la giurisprudenza abbia progressivamente spostato l’attenzione dal fatto in sé alla sua esteriorizzazione, ossia al momento in cui il pregiudizio si manifesta concretamente e può essere riconosciuto. La cessazione dell’incarico dell’amministratore, inoltre, non incide automaticamente sul decorso del termine prescrizionale, se il danno non è ancora rilevabile o evidente.
Nel caso esaminato, la scoperta delle operazioni irregolari è avvenuta solo con la ricostruzione dei movimenti extracontabili, rendendo palese la condotta distrattiva dell’amministratore. È da quel momento — ha stabilito la Cassazione — che decorre il termine per esercitare l’azione risarcitoria.
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