Redazione 28 Maggio 2025

Caso Bibbiano, scontro tra avvocati e magistrati: “A rischio il diritto di difesa”

Roma — Torna a far discutere la vicenda giudiziaria legata al processo “Angeli e Demoni” sui fatti di Bibbiano. Stavolta a finire al centro della polemica non è soltanto il merito del processo, ma le conseguenze subite da due avvocati difensori, ora indagati per calunnia per aver sollevato una questione processuale nel corso del dibattimento. Una scelta che l’Associazione Nazionale Magistrati locale ha definito “mera applicazione della legge”, ma che l’Unione Camere Penali Italiane contesta con forza in una nota ufficiale.

Il comunicato dell’Ucpi, affidato alla Giunta, ricorda come in passato la formula “rite et recte” — usata dai commissari papali per certificare la regolarità dei tribunali dell’Inquisizione — sia oggi evocata per giustificare decisioni che rischiano di comprimere il diritto di difesa e trasformare il dibattito processuale in terreno minato per chi esercita la critica.

«Non è stata una “iniziativa improvvida” — denuncia l’Ucpi — ma una trasmissione di atti a una procura che, in assenza di specifiche denunce, ha ipotizzato un’accusa tanto grave quanto discutibile, il tutto ai danni di chi aveva semplicemente esercitato il proprio ruolo di difensore». Particolarmente contestata anche la tempistica: la notifica dell’atto ai legali è infatti avvenuta il giorno prima della discussione finale, scelta definita “irrilevante” dall’ANM locale, ma che secondo l’Ucpi «lede il pieno esercizio del diritto di difesa e contrasta con quella cultura della giurisdizione che dovrebbe appartenere alla magistratura».

Per le Camere Penali si tratta dell’ennesima dimostrazione di una pericolosa deriva corporativa e inquisitoria, che rischia di trasformare il diritto di difesa in una pratica sottoposta al vaglio preventivo di chi, per legge, dovrebbe essere il soggetto controllato. «Incidenti di questo tipo — conclude la nota — dovrebbero spingere a riflessioni serie sui rischi che corre lo Stato di diritto quando le critiche e le censure all’agire giudiziario vengono trattate come reati».


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