Anche nel settore pubblico i dipendenti possono essere chiamati a svolgere, in via eccezionale, mansioni di livello inferiore rispetto al proprio inquadramento. A stabilirlo è un’ordinanza della Corte di Cassazione civile – sezione lavoro (n. 1128 dell’8 maggio 2025), che chiarisce i confini entro cui un’amministrazione può ricorrere a questa possibilità senza violare i diritti dei lavoratori.
Secondo i giudici supremi, il pubblico dipendente ha un dovere di collaborazione nell’interesse dell’ente e della collettività, che può includere anche incarichi diversi da quelli abituali. Tuttavia, tali mansioni devono rientrare nell’ambito della professionalità del lavoratore e non essere completamente estranee al suo percorso formativo e lavorativo. È inoltre necessario che la richiesta derivi da effettive esigenze organizzative e venga gestita in modo marginale e occasionale.
Nel caso esaminato, un’infermiera era stata sistematicamente destinata a compiti tipici degli operatori socio-sanitari (Oss), a causa della carenza di personale. La Corte ha confermato la condanna dell’azienda sanitaria, condannata a risarcire la lavoratrice per il danno alla professionalità e all’immagine, quantificato nel 20% della retribuzione per il periodo interessato.
La pronuncia sottolinea, però, che non è sempre illegittimo impiegare infermieri in mansioni da Oss, purché si tratti di attività compatibili con la loro qualifica e che tali incarichi restino accessori rispetto alle mansioni principali. L’amministrazione pubblica, infatti, può richiedere ai propri dipendenti una certa flessibilità funzionale, ma senza stravolgere il profilo professionale o mortificare le competenze acquisite.
Una decisione che rimette al centro il rispetto della dignità lavorativa nel pubblico impiego, tutelando il diritto di ogni dipendente a vedere riconosciuto il proprio ruolo senza essere impiegato sistematicamente in compiti inferiori al proprio inquadramento.
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