Dichiarare il falso all’anagrafe al momento della nascita di un figlio può costare caro, anche se si è in fase di divorzio e si invoca il diritto a trasmettere il proprio cognome. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15138, depositata il 16 aprile 2025, confermando la condanna – ai soli fini civili per intervenuta prescrizione – di una donna che aveva falsamente dichiarato di non essere sposata, omettendo informazioni sul padre del neonato e attribuendogli solo il proprio cognome.
Il caso riguarda una madre, legalmente ancora coniugata, che alla nascita del figlio aveva compilato il modulo destinato ai bambini “riconosciuti dalla sola madre naturale”, affermando di essere divorziata e di non avere più notizie del marito. Una dichiarazione che ha impedito al padre biologico di riconoscere il bambino per oltre tre anni, finché non è intervenuto il tribunale.
Secondo la Suprema Corte, la donna ha agito in maniera consapevole, violando il vincolo matrimoniale ancora in essere e impedendo al padre – che si era anche presentato all’ospedale per la registrazione – di esercitare i propri diritti. In questo comportamento, la Cassazione ha ravvisato una doppia falsità: l’inesistenza del divorzio e l’occultamento volontario della presenza del padre.
L’elemento centrale della sentenza riguarda l’irrilevanza, ai fini penali, della decisione della Corte costituzionale n. 131 del 2022, che ha riconosciuto il diritto dei genitori di scegliere liberamente il cognome del figlio. La Cassazione precisa che questa sentenza non legittima la madre a nascondere l’esistenza del matrimonio né a compiere dichiarazioni unilaterali sull’identità del figlio. Il cognome, infatti, può essere scelto congiuntamente dai genitori o attribuito secondo l’ordine da loro concordato. Diversamente, l’atto risulta irregolare e penalmente rilevante.
La V Sezione penale della Corte ha quindi rigettato i ricorsi difensivi, sottolineando che “alla nuova disciplina non può annettersi alcuna valenza scriminante” e che non sussistono i presupposti per prosciogliere l’imputata. In assenza della prescrizione, la pena prevista sarebbe stata tra 1 e 5 anni di reclusione.
Una pronuncia che fa chiarezza su un tema delicato, ribadendo i limiti entro cui possono esercitarsi i nuovi diritti in materia di filiazione e cognome, e richiamando al rispetto della verità nei rapporti con le istituzioni.
Iscriviti al canale Telegram di Servicematica
Notizie, aggiornamenti ed interruzioni. Tutto in tempo reale.
LEGGI ANCHE

10 anni di carcere per i cybercriminali
Il Cdm ha approvato il nuovo Ddl sulla Cybersicurezza, al fine di rafforzare la normativa attuale e contrastare il cybercrime in Italia. Il governo non…

Todde nella bufera: accuse di falsità e tensioni politiche sulla presidente sarda
Lega e opposizioni all'attacco: il caso Todde scuote il Consiglio regionale della Sardegna

Roma, 30 maggio 2024 – Ufficio per il processo, acceleratore della giustizia civile. I dati parlano chiaro: l’assunzione degli addetti Upp prevista dal Pnrr ha avuto un…