L’intelligenza artificiale sta entrando con passo ancora incerto ma deciso nella quotidianità della professione forense. A raccontarlo è il Rapporto sull’Avvocatura 2025, realizzato da Cassa Forense in collaborazione con il Censis, che dedica uno dei suoi capitoli centrali proprio all’impatto delle nuove tecnologie sulla professione legale.
Dalla fotografia scattata emerge una realtà in evoluzione, caratterizzata da un’adozione selettiva dell’IA, frenata da timori legati alla sicurezza dei dati, disparità generazionali e livelli diversi di alfabetizzazione digitale. Se già nel 2024 il 58,7% degli avvocati vedeva l’IA come un’opportunità e solo il 32% come una minaccia, il nuovo rapporto approfondisce due aspetti: le modalità d’uso quotidiane e gli impatti previsti nei prossimi cinque anni.
Oggi, solo il 27,5% degli avvocati dichiara di utilizzare strumenti di IA nel lavoro quotidiano. Di questi, il 19,9% lo fa per la ricerca giurisprudenziale e documentale, il 5% per la stesura o revisione di contratti, l’1% per l’automazione delle attività amministrative e l’1,2% per l’analisi predittiva e la strategia legale.
Ma anche tra chi non ne fa uso – il 72,3% – oltre il 31% sta valutando di iniziare a farlo, segnale di una propensione al cambiamento che cresce, soprattutto tra i più giovani: il 37,4% degli avvocati under 40 già integra strumenti di IA nel lavoro, contro il 24,6%–26,1% dei colleghi più anziani. Le aree professionali più tradizionali, invece, restano tendenzialmente più restie.
Il tema della sicurezza e riservatezza resta uno dei nodi più critici. I sistemi oggi più diffusi operano su server proprietari esterni, ai quali vengono inviati anche dati sensibili. A tal proposito, Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense, ha rassicurato la categoria: “Stiamo lavorando per dotare gli avvocati di una IA gratuita basata su server dell’avvocatura”. Intanto, Valter Militi, presidente di Cassa Forense, invita a utilizzare la piattaforma Pdua come soluzione intermedia.
Guardando al futuro, il 27,3% degli avvocati ritiene che l’IA servirà ad automatizzare le attività ripetitive, il 25,8% prevede che modificherà profondamente la professione, e il 23,7% la vede come un supporto complementare al lavoro umano. Solo il 9,8% ne prevede un impatto marginale, mentre il 9,6% ritiene che potrà ridurre il bisogno di avvocati in alcuni settori, aprendo però nuove opportunità in altri.
Lo studio mette anche in relazione l’adozione dell’IA con il peso del contenzioso nelle attività dello studio legale: tra chi la utilizza, il fatturato si distribuisce quasi equamente tra attività giudiziale (54,6%) e stragiudiziale (45,6%). Tra chi non la usa, invece, il giudiziale domina (60%).
Infine, gli avvocati esprimono le loro opinioni in sei ambiti chiave: qualità del lavoro, impatto sulla professione, rischi di diseguaglianza, utilità percepita, divario generazionale e atteggiamento critico. In molti temono che l’IA possa abbassare il livello della preparazione richiesta, favorendo chi ha meno competenze tecniche, mentre altri vedono nella tecnologia un alleato per modernizzare e rendere più efficiente il lavoro legale.
In sintesi, l’intelligenza artificiale non è più un’ipotesi lontana ma una realtà già presente, seppure ancora timida. La sfida per l’avvocatura sarà comprenderne le potenzialità senza sottovalutarne i rischi, garantendo etica, sicurezza e qualità nell’esercizio della professione.
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