Per anni i magistrati onorari sono stati la spina dorsale della giustizia italiana, gestendo fino al 90% dei dibattimenti penali e circa la metà del contenzioso civile. Tuttavia, il loro ruolo è sempre stato segnato dal precariato: pagati a cottimo, senza contribuzione né copertura per malattia, e privi di una selezione tramite concorso.
L’Unione Europea ha aperto una procedura d’infrazione per questa situazione, spingendo il governo Draghi a varare dei concorsi ad hoc per stabilizzarli. Tuttavia, con la riforma voluta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, attualmente in discussione al Senato, si rimettono in discussione le retribuzioni previste, con il rischio di creare nuove discriminazioni.
Il provvedimento introduce due categorie: gli “esclusivisti”, che rinunciano ad altre professioni e percepiranno 58 mila euro lordi all’anno, e i “non esclusivisti”, che continueranno a svolgere altre attività (come l’avvocatura o l’insegnamento) e saranno penalizzati con un tetto retributivo di 25 mila euro lordi annui.
“È un sopruso inaccettabile” commenta Maria Giovanna Miceli, viceprocuratore onorario e membro del direttivo dell’Associazione Magistrati Onorari Non Effettivi (AMNNE). “Prima si bandisce un concorso, poi, una volta che i vincitori hanno rinunciato ai loro contenziosi, si cambiano le condizioni in peggio.”
Il rischio è che questa riforma non risolva il problema della precarietà, ma lo aggravi, introducendo nuove disparità di trattamento tra chi sceglie il tempo pieno e chi, per necessità, deve mantenere un’attività parallela. I magistrati onorari, che da anni garantiscono il funzionamento della giustizia italiana, si trovano così di fronte a un bivio: accettare condizioni peggiorative o continuare la battaglia per il riconoscimento dei loro diritti.
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