La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso una sentenza destinata a fare storia in materia di antiriciclaggio, mettendo in discussione le modalità di ispezione della Guardia di Finanza. La decisione, resa nota il 6 febbraio scorso, evidenzia criticità nelle procedure ispettive adottate dalle autorità italiane, ritenute in contrasto con i principi fondamentali della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Il caso
Al centro della vicenda giudiziaria vi è l’operato della Guardia di Finanza nelle ispezioni fiscali condotte presso sedi aziendali e professionali. La Corte ha censurato l’eccessiva discrezionalità concessa dalle normative italiane (in particolare dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 e dall’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973), che permette alle autorità di accedere e sequestrare documentazione contabile senza adeguate garanzie procedurali.
La Corte ha rilevato l’assenza di un controllo giudiziario effettivo, sia preventivo che successivo, su tali operazioni, violando così l’articolo 8 della CEDU, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, anche nei luoghi di lavoro. Questa mancanza di tutele ha portato la Corte a dichiarare inadeguato il quadro giuridico italiano, evidenziando il rischio di abusi o arbitrarietà da parte delle autorità fiscali.
L’impatto sulla normativa antiriciclaggio
La sentenza non si limita alle ispezioni fiscali, ma ha implicazioni dirette anche sul settore antiriciclaggio. Infatti, le modalità operative della Guardia di Finanza in materia antiriciclaggio si basano proprio sull’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, richiamato dall’art. 9 del D.lgs. n. 231/2007. Questo collegamento normativo impone un adeguamento delle procedure ispettive, affinché rispettino i principi di legalità, proporzionalità e giusto processo sanciti dalla CEDU.
I principi violati e le conseguenze
Secondo la Corte di Strasburgo, la normativa italiana non garantisce sufficienti tutele procedurali per le ispezioni antiriciclaggio, in quanto:
- La legge risulta poco chiara e accessibile, violando il principio di determinatezza (art. 7 CEDU);
- Le autorità fiscali godono di un potere discrezionale illimitato, in contrasto con lo stato di diritto;
- Manca un effettivo riesame giudiziario delle ispezioni, rendendo la difesa dei soggetti ispezionati inefficace.
Queste criticità rischiano di esporre l’Italia a ulteriori sanzioni internazionali se non si adotteranno correttivi normativi adeguati.
Un monito per il legislatore italiano
La sentenza rappresenta un chiaro monito per il legislatore italiano: le modalità di accertamento delle violazioni antiriciclaggio devono essere riviste per garantire il rispetto dei diritti umani, dalla presunzione di innocenza al giusto procedimento (art. 6 CEDU). In caso contrario, le ispezioni della Guardia di Finanza potrebbero continuare a violare il diritto sovranazionale, con conseguenti ripercussioni legali ed economiche per l’Italia.
La pronuncia della Corte Europea apre quindi a un necessario ripensamento dell’intero impianto normativo e operativo delle ispezioni antiriciclaggio, affinché siano rispettati i diritti fondamentali sanciti dalla CEDU.
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