La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2505/2025, ha stabilito che, in caso di revoca dell’agevolazione “prima casa”, la maggiore imposta dovuta grava solidalmente su tutti i comproprietari, anche su chi detiene una quota infinitesimale del bene.
Il caso
Una contribuente, proprietaria solo dell’1% di un immobile acquistato in comunione con il figlio (titolare del restante 99%), si è opposta all’azione di recupero del Fisco che pretendeva da lei l’intero importo della maggiore tassazione dovuta per la decadenza dal bonus. La Cassazione ha respinto il ricorso, affermando il principio di responsabilità solidale tra i comproprietari.
Il quadro normativo
La revoca del beneficio fiscale avviene quando l’immobile, acquistato con l’agevolazione “prima casa”, viene rivenduto entro cinque anni senza riacquisto, entro un anno, di un altro immobile da destinare a residenza principale. In base all’art. 57, comma 1, del D.P.R. 131/1986, tutti gli acquirenti in comunione sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta, delle sanzioni e degli interessi.
Il principio affermato dalla Cassazione
Il Supremo Collegio ha chiarito che la responsabilità solidale persiste indipendentemente dalla percentuale di proprietà detenuta. Il fatto che la contribuente avesse solo l’1% dell’immobile non la esime dal pagamento dell’intera somma richiesta dall’Agenzia delle Entrate. La ripartizione delle quote ha rilevanza solo nei rapporti interni tra i comproprietari, ma non nei confronti del Fisco.
Questa decisione conferma un orientamento rigoroso in materia di decadenza dai benefici fiscali, ribadendo che la comunione del bene comporta anche la condivisione degli obblighi tributari, senza eccezioni legate alla proporzione della proprietà.
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