L’Ordine degli Avvocati di Milano ha adottato la prima Carta dei Principi in Italia per l’uso consapevole dell’intelligenza artificiale (AI) nella pratica forense. Il progetto, battezzato Horos, prende il nome dalla pietra di confine dell’antica Grecia, simbolo di ordine e limite rispetto al caos. Proprio come quella pietra tracciava il confine tra il conosciuto e l’ignoto, il progetto mira a definire il perimetro entro cui l’AI può essere utilizzata con rigore e trasparenza nella professione legale.
L’Europa e la sovranità digitale: il rischio di “regalare” dati a Stati esteri
Ad oggi, l’Europa non dispone di algoritmi di intelligenza artificiale propri e autonomi. Gli strumenti più diffusi e utilizzati – come ChatGPT (statunitense) o Ernie (cinese) – provengono da Paesi extraeuropei, con tutte le implicazioni che questo comporta in termini di sovranità digitale e protezione dei dati.
Sebbene l’Unione Europea abbia stanziato fondi per favorire lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale “made in Europe”, i risultati concreti richiederanno tempo. Nel frattempo, l’utilizzo di AI extraeuropee comporta un rischio significativo: l’esposizione dei dati – anche sensibili – a Paesi con normative sulla privacy diverse e, spesso, meno garantiste di quelle europee.
Ogni volta che un avvocato, un’impresa o un cittadino utilizza strumenti di AI americani o asiatici, contribuisce involontariamente a trasferire informazioni verso l’estero. Questo paradosso non riguarda solo la privacy individuale, ma tocca la sfera della sovranità digitale europea. Affidarsi a tecnologie straniere significa, di fatto, cedere una parte del controllo sui dati e sulle decisioni automatizzate, con il rischio di perdere la capacità di autodeterminazione digitale.
Il paradosso dell’ordine e del caos: quando il tentativo di razionalizzare diventa disordine
L’idea di voler “dare ordine al caos” ha radici profonde nella cultura greca, dove la nozione di Horos (confine) rappresentava il limite tra il conosciuto e l’ignoto. Tuttavia, la scienza moderna ha scardinato questa visione. Con la teoria quantistica, Werner Heisenberg, Max Born e Pascual Jordan hanno dimostrato che ciò che percepiamo come caos è, in realtà, una forma di ordine intrinseco. L’incertezza e la probabilità, pilastri della meccanica quantistica, ci ricordano che l’apparente disordine della natura non è casuale, ma segue logiche che spesso sfuggono alla nostra comprensione.
Applicando questa riflessione al nostro rapporto con la tecnologia, emerge un paradosso interessante. Quando cerchiamo di “mettere ordine” attraverso la razionalizzazione – come avviene nel tentativo di normare l’uso dell’intelligenza artificiale – in realtà potremmo non fare altro che sovrapporre il nostro schema umano a un ordine naturale che non ci è del tutto chiaro.
Se la natura ci mostra che il disordine percepito è, in realtà, ordine, allora il nostro tentativo di razionalizzare potrebbe produrre l’effetto opposto: creare un disordine artificiale. Nella pratica forense, ciò potrebbe tradursi nella creazione di regole rigide che, invece di chiarire, complicano ulteriormente il rapporto tra uomo e tecnologia. L’AI, infatti, funziona su schemi e logiche spesso opachi e non interpretabili dall’uomo (le cosiddette black box algorithms), costringendoci a confrontarci con un ordine che non possiamo controllare pienamente.
Il vero confine da tracciare, dunque, non è tra ordine e caos, ma tra ciò che possiamo comprendere e ciò che dobbiamo accettare di non controllare. Questo stesso principio si applica alle leggi sulla trasparenza dell’AI, dove il tentativo di rendere “comprensibile” il funzionamento degli algoritmi si scontra con la complessità intrinseca della tecnologia.
In definitiva, il progetto Horos dell’Ordine degli Avvocati di Milano – che mira a “dare confini” all’uso dell’AI – affronta questa sfida cruciale. Ma la domanda rimane aperta: stiamo tracciando confini utili o stiamo solo illudendoci di poter mettere ordine in un sistema che, per natura, risponde a una logica che non ci appartiene?
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