3 Agosto 2024 - Attualità

Sport, diritti umani e arbitrato: la sentenza Semenya e il caso di Imane Khelif

La vicenda di Semenya contro Svizzera e quella di Imane Khelif evidenziano un crescente bisogno di armonizzare le regolamentazioni sportive internazionali con i diritti umani. Le recenti sentenze e decisioni giurisdizionali indicano una strada verso una maggiore tutela dei diritti degli atleti, ma molto lavoro resta da fare.

L’11 luglio 2023, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha emesso una sentenza storica nel caso Semenya contro Svizzera, condannando quest’ultima per violazione degli articoli 8, 13 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). La decisione ha fatto eco nel mondo sportivo e giuridico, mettendo in discussione il rigido controllo esercitato dal Tribunale Federale svizzero su un lodo arbitrale emesso dal Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) riguardante l’atleta sudafricana Caster Semenya.

Questo verdetto ha un rilevante collegamento con la controversia della pugile algerina Imane Khelif, esclusa dai Campionati Mondiali di Boxe Femminile 2023 per non conformità ai requisiti di genere stabiliti dalla International Boxing Association (IBA). Entrambi i casi sottolineano le complessità emergenti quando le regolamentazioni sportive internazionali entrano in conflitto con i diritti fondamentali degli atleti.

La sentenza

Con una sentenza storica, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) ha condannato la Svizzera per violazione degli articoli 8, 13 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) nel caso Semenya c. Svizzera (ricorso n. 10934/21). La Corte ha rilevato che il Tribunale Federale svizzero non ha adeguatamente esaminato le accuse di discriminazione avanzate dall’atleta sudafricana Caster Semenya contro il regolamento della World Athletics, che limita il livello di testosterone nelle atlete femminili.

La vicenda

Caster Semenya, una delle atlete più talentuose nel mezzofondo, è intersessuale, producendo naturalmente alti livelli di testosterone. Nel 2018, la World Athletics (ex IAAF) ha introdotto il “Regolamento DSD”, imponendo alle atlete con livelli elevati di testosterone di sottoporsi a trattamenti ormonali per poter competere nelle categorie femminili. Semenya ha contestato questa normativa al Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS), sostenendo che i trattamenti ormonali hanno effetti collaterali dannosi e non adeguatamente studiati.

Il giudizio del TAS e del Tribunale Federale svizzero

Il TAS ha riconosciuto che il regolamento, pur discriminatorio, era giustificato dalla necessità di garantire una competizione equa. Di conseguenza, Semenya ha impugnato la decisione presso il Tribunale Federale svizzero, unico organo competente per i ricorsi contro i lodi arbitrali del TAS. Tuttavia, il Tribunale Federale ha confermato la decisione del TAS, ritenendo legittima la normativa in questione.

Il ricorso alla Corte EDU

Dopo il rigetto del Tribunale Federale, Semenya ha portato il caso alla Corte EDU, sostenendo che la Svizzera aveva violato i suoi diritti garantiti dalla CEDU, tra cui il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto a un ricorso effettivo e il divieto di discriminazione.

La Corte EDU ha accolto le doglianze di Semenya, dichiarando che il Tribunale Federale svizzero non ha fornito sufficienti garanzie istituzionali e procedurali. In particolare, la Corte ha criticato l’approccio “molto ristretto” adottato dal Tribunale Federale nell’esaminare il lodo arbitrale, che non ha permesso una valutazione approfondita degli effetti collaterali dei trattamenti ormonali richiesti dal regolamento.


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