Rosa Colucci 9 Luglio 2024

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Il troppo lavoro non giustifica la mancata formazione degli avvocati: la sentenza del Consiglio Nazionale Forense

Roma, 9 luglio 2024 – L’intensa attività lavorativa non può essere utilizzata come giustificazione per non adempiere agli obblighi di formazione e aggiornamento professionale. Questo è quanto stabilito dal Consiglio Nazionale Forense (CNF) nella sentenza n. 120/2024, pubblicata lo scorso 4 luglio sul sito del Codice deontologico.

La sentenza è il risultato del ricorso presentato da un’avvocata, sanzionata dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Torino con un avvertimento. L’avvocata aveva sostenuto di non aver potuto partecipare ai corsi di formazione obbligatori a causa della mole di lavoro particolarmente intensa nel periodo in questione.

Nel suo ricorso, l’avvocata ha argomentato che la gestione di numerosi e complessi casi legali aveva assorbito interamente il suo tempo, impedendole di rispettare l’obbligo formativo. Ha inoltre sottolineato come il lavoro svolto durante quel periodo avesse contribuito significativamente alla tutela dei diritti dei suoi clienti, rafforzando così implicitamente le sue competenze professionali.

Il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso, stabilendo che l’intensa attività lavorativa non può essere considerata una scriminante valida per il mancato adempimento agli obblighi di formazione. Secondo il CNF, la formazione continua rappresenta un pilastro fondamentale per garantire l’aggiornamento e la competenza degli avvocati, indispensabile per la corretta amministrazione della giustizia e la tutela dei diritti dei cittadini.

Il CNF, nella sua sentenza, ha ribadito che il dovere di formazione continua è una responsabilità ineludibile per ogni avvocato, indipendentemente dalla mole di lavoro. Questo obbligo non è solo una formalità burocratica, ma una necessità per mantenere un elevato standard professionale e per assicurare una difesa efficace e aggiornata ai propri assistiti. La mancata formazione non solo mette a rischio la qualità del servizio legale offerto, ma compromette anche l’integrità e la credibilità della professione forense.


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