La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 117 del 2 luglio 2024, ha accolto il ricorso presentato dal Tribunale di Roma in merito al caso Siri. Il Senato aveva negato l’autorizzazione all’utilizzo di alcune intercettazioni che coinvolgevano l’allora senatore Siri, ma la Corte ha stabilito che tale diniego era illegittimo.
Le intercettazioni in questione erano state disposte nell’ambito di un’indagine per corruzione a carico di alcuni imprenditori. Tra le conversazioni intercettate, alcune includevano l’allora senatore Siri. Il Senato aveva negato l’autorizzazione all’utilizzo di queste intercettazioni, sostenendo che non vi fosse la necessità di utilizzarle e che alcune di esse erano indirette, ovvero captate incidentalmente mentre si intercettavano altre persone.
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La Corte Costituzionale ha invece rilevato che il Senato, nel negare l’autorizzazione, ha valutato autonomamente le condotte del senatore Siri, invadendo le competenze del giudice. Inoltre, la Corte ha ritenuto che le intercettazioni non fossero indirette, ma che l’ingresso del senatore Siri nelle conversazioni fosse occasionale.
Di conseguenza, la Corte ha annullato il diniego del Senato e ha disposto che il Senato stesso provveda a una nuova valutazione in merito all’utilizzo delle intercettazioni successive al 15 maggio 2018.
La sentenza è importante perché ribadisce il principio della separazione dei poteri e sottolinea che il Senato non può negare l’autorizzazione all’utilizzo di intercettazioni in modo illegittimo. Inoltre, la sentenza stabilisce che le intercettazioni indirette possono essere utilizzate solo in determinati casi.
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