È stata applicata una modifica della norma del Codice Penale riguardo i maltrattamenti in famiglia, che vedranno un aumento della pena fino a metà nel caso in cui la condotta venga realizzata in presenza di un minore.
Lo chiarisce la Cassazione con sentenza n. 47121, sesta sezione penale, depositata il 23/11/2023. La Corte, così facendo, conferma la condanna nei confronti di un uomo che era stato accusato di alcuni gravi episodi di violenza contro la convivente, il tutto in presenza del figlio appena nato.
La pronuncia ricorda un precedente del 2019, successivo all’entrata in vigore del Codice Rosso. La Cassazione, con sentenza 21087/2022 aveva escluso l’aggravante del maltrattamento assistito, affermando come la giovane età del figlio non gli consentiva di comprendere del tutto la gravità dei comportamenti così come il contesto ambientale/familiare.
Ora la Corte dice di non condividere tale orientamento, sottolineando la coerenza con la Convenzione di Istanbul del 2011. Secondo il nuovo articolo 572 del Codice Penale, inoltre, non si accenna in alcun modo all’età del minore.
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Se ogni volta si dovesse procedere a verificare l’idoneità della condotta che provoca un danno psicofisico al minore, significherebbe prendere le distanze da una forma di offesa recentemente introdotta dal legislatore.
Si ritornerebbe a disegnare la condotta penalmente rilevante per quanto concerne il pericolo concreto, e l’autorità giudiziaria dovrebbe accertare caso per caso. Sottolinea la Cassazione: «Più esplicitamente, l’ipotesi di “maltrattamenti assistiti” è tipizzata in chiave di pericolo astratto, in quanto assume l’elevata probabilità che di produzione del danno in ragione della semplice realizzazione della condotta tipica (i maltrattamenti) alla presenza del minorenne».
Per quanto concerne i maltrattamenti assistiti non c’era ragione di dubitare circa l’offensività della fattispecie introdotta. Non risulta incerto il pericolo del danno che è stato provocato dalla visione di comportamenti di natura violenta, anche in minori in età «tenerissima, il cui sviluppo neurobiologico, nelle prime fasi, appare, anzi, particolarmente delicato e potrebbe quindi essere vieppiù compromesso proprio per l’impossibilità/difficoltà, per il neonato e l’infante di elaborare le immagini e gli stimoli cui sono passivamente sottoposti».
Non è fondata, dunque, per la sentenza, quanto sostenuto precedentemente dalla Cassazione circa l’acquisizione della consapevolezza a partire soltanto dal secondo semestre del primo anno d’età.
La sentenza chiarisce che la violenza assistita esiste a prescindere dall’età del minore, a patto che gli episodi ai quali questo deve assistere compromettano in qualche modo il suo sviluppo psicofisico.
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