Un avvocato è stato sanzionato per aver utilizzato alcune espressioni offensive nei confronti di un collega per quanto riguarda la redazione degli atti processuali. Per il CNF, il diritto e il dovere della difesa non giustifica in alcun modo l’utilizzo di accuse offensive, che non risultano pertinenti o necessarie per sostenere la tesi difensiva.
La sentenza 209/2022 del CNF afferma che il professionista ha violato i doveri di probità, dignità e decoro, ai quali qualsiasi avvocato deve conformarsi.
Le espressioni utilizzate nel documento processuale per poter descrivere il collega avversario in quanto «professionista incapace, riuscito ad avere accesso nella professione con metodi non leciti e screditanti sono state considerate offensive e senza rilevanza per la difesa del cliente.
Tali espressioni offensive e sconvenienti, purtroppo, non sono insolite nel mondo legale, anche se questo caso specifico ha sollevato la questione del rispetto professionale e della responsabilità etica.
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Il COA ha ritenuto necessaria l’emissione di un avvertimento in quanto misura disciplinare, al fine di sottolineare come l’avvocato abbia violato il divieto stabilito dall’art. 20 CDF, che vieta l’utilizzo di espressioni offensive o sconvenienti.
Tali espressioni, in particolare, sarebbero state utilizzate dall’avvocato per descrivere la controparte durante la redazione degli atti processuali in un procedimento di separazione. La questione, tuttavia, è stata portata in Cassazione e davanti al CNF, che conferma la sanzione imposta.
Per il CNF, le espressioni utilizzate dall’avocato erano assolutamente discriminatorie e immotivate, e non hanno trovato alcuna giustificazione nel contesto del procedimento della separazione. Il Consiglio, inoltre, ha rilevato che il comportamento adottato dall’avvocato è stato mosso da un’intenzione di vendetta, non compatibile, ovviamente, con i principi di dignità, correttezza e decoro che tutti gli avvocati devono rispettare.
Non soltanto il CNF ha confermato la sanzione, ma ha ribadito come, nonostante la condotta sia stata valutata anche dalla Corte di Cassazione, il principio del divieto di reformatio in peius va a vincolare il CNF a mantenere una sanzione mitigata dall’avvertimento.
Si tratta di un caso che mette in risalto l’importanza di un comportamento professionale ed etico tra gli avvocati nel corso del processo legale. Il diritto e il dovere di difesa non dovrebbero mai essere utilizzati in quanto pretesto al fine di denigrare i colleghi gratuitamente o per ledere la dignità di chi viene coinvolto nel procedimento.
Il CNF, inoltre, ribadisce che l’avvocatura deve rispettare alti standard deontologici, e che utilizzare espressioni offensive viola questi principi.
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