Sono passati quasi 100 anni dal 2 giugno 1926, il giorno in cui nacque Augusta Bassi, meglio nota come Tina Lagostena Bassi. Si faceva chiamare Avvocata, un titolo conquistato dopo tanti anni di battaglie.
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Tina Lagostena Bassi nasce nel 1926 a Milano, da una famiglia agiata, anche se la guerra cambiò le carte in tavola. Infatti, la famiglia Bassi lascia l’Italia nel 1943 per rifugiarsi in Svizzera.
A 19 anni, Tina sposa un avvocato, Vitaliano Lagostena, un uomo che non intralcia affatto lo spirito anticonformista dell’avvocata. Si dice che Lagostena, dopo avere assaggiato i suoi “manicaretti”, abbia constatato che fosse meglio sostenerla nel suo percorso di studi.
Tina Lagostena Bassi decide di iscriversi all’Università di Genova per studiare Legge. Il carico di studio è intenso, e lo condivide con Paolo Villaggio, che lei definisce «un secchione nel vero senso della parola».
Durante gli studi, diventa mamma per due volte. «Pensavo che tutte le donne avessero gli stessi diritti, gli stessi privilegi di cui ho goduto io. Volevo studiare, ho chiesto di studiare, mio marito mi ha detto di sì, era contento, i miei mi aiutavano con i bambini. Era una vita felice, facilissima. Poi ho scoperto che non era così per tutte».
Una vita speciale
Nel 1951, Tina Lagostena Bassi si laurea in diritto penale, e diviene allieva di Giuliano Vassalli, il futuro presidente della Corte Costituzionale, ricordato anche per aver ideato l’evasione di Giuseppe Saragat e Sandro Pertini dal carcere di Regina Coeli durante la Resistenza romana.
A Parma, le viene offerta la cattedra di diritto della Navigazione, ma dopo un anno decide di lasciare l’incarico per dedicarsi a tempo pieno alla professione. «Ho pensato che era giusto che i miei privilegi venissero messi al servizio delle donne che privilegi non ne avevano, per aiutarle a conquistare i loro diritti».
Tuttavia, Tina si rende immediatamente conto del maschilismo presente nelle aule di giustizia. Nella sua autobiografia, Una vita speciale, racconta degli episodi emblematici. Durante un’udienza, per esempio, un collega asserì, dopo averla guardata con disprezzo, che «le donne dovrebbero stare a casa a fare la calzetta».
Il massacro del Circeo
Ma il trattamento peggiore era riservato alle donne vittime di violenze sessuali, considerate colpevoli a prescindere, sbagliate, adescatrici, libertine. Tina decide di combattere per loro, e crede fermamente nella necessità di riformare il codice Rocco.
Lo stupro, per l’avvocata, non deve assolutamente più essere considerato come reato contro la morale comune, ma come reato contro la persona.
In quegli anni ci fu il processo per il massacro del Circeo, e Lagostena Bassi assiste Donatella Colasanti, che si costituì parte civile. Un processo che si concluse con una sentenza storica, nonostante durante le udienze si sia tentato di screditare più volte la reputazione di Colasanti.
«Donatella ha avuto una vita così difficile da farmi pensare che forse era stata più fortunata Rosaria, la sua amica uccisa al Circeo», disse l’avvocata.
Il processo per il massacro del Circeo fu il primo in cui le donne erano presenti in aula, partecipando, interagendo, mobilitandosi. «Per me è stato un grande momento di presa di coscienza, sentire il modo in cui in tribunale venivano trattate le donne da quel mondo di avvocati e magistrati uomini. Sembravano quasi solidali con i violentatori perché cercavano di addossare la colpa alle vittime».
Processo per stupro
Da qui, nasce l’idea di documentare per la prima volta in assoluto un processo per stupro, per poter denunciare tutte queste aberrazioni. Il documentario fu trasmesso dalla Rai, e l’impatto sull’opinione pubblica fu fortissimo.
La vittima del processo era Fiorella, una giovane che accusò quattro uomini di averla violentata per un pomeriggio intero, dopo essere stata attirata in un casolare per sostenere un colloquio di lavoro.
Gli imputati dissero che Fiorella era una ragazza di facili costumi, che si offrì a pagamento: ma nulla di tutto questo era vero. «Se questa ragazza se ne fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente», sostenne la difesa.
Le arringhe di Tina Lagostena Bassi si infuocarono sempre più. «E’ una prassi costante: il processo alla donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale».
«Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliante venire qui a dire che non è una puttana. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare i processi per violenza».
I quattro imputati ricevettero una condanna irrisoria, per poi venire quasi subito rilasciati con la libertà condizionata. Ma l’avvocata ripara quei torti nel 1994, quando viene eletta alla Camera dei deputati con il Polo per le Libertà.
Dopo essere diventata membro della Commissione Giustizia e coautrice della legge contro la violenza sessuale nel 1996, continua a combattere contro il maschilismo e a lottare per la dignità delle donne, processo dopo processo, norma dopo norma.
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