Esiste il principio di uguaglianza in carcere?

Corte: diverso trattamento per diversi detenuti non lede il principio di uguaglianza

Il 25 gennaio la Corte Costituzionale pubblica la sentenza n. 20/2022 con la quale si esprime in merito al principio di uguaglianza in carcere. In particolare, ritiene che trattare i detenuti in maniera differente in base a come questi collaborano con la giustizia non leda a tale principio. Dunque, se un detenuto richiede un permesso premio ma non collabora con la giustizia avrà diverso trattamento rispetto a colui che non lo fa perché oggettivamente impossibilitato.

Permesso premio e distinzione tra detenuti senza ledere il principio di uguaglianza

La vicenda coinvolge il Magistrato di sorveglianza di Padova il quale solleva questioni di legittimità costituzionale con gli articoli:

In particolare, ci si chiede se i permessi premio possano concedersi a quei condannati che siano impossibilitati alla collaborazione. Indubbiamente, questo vale solo per quei detenuti per i quali si accerta l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

Successivamente, il remittente si muove dal presupposto della sentenza n. 253 del 2019, della Corte Costituzionale. Qui, la giurisprudenza riconosce in tema di accesso al permesso premio l’esistenza di un doppio regime di giudizio per i diversi detenuti che non collaborano e sono condannati per reati ostativi.

Difatti, come si accennava ci si comporta in maniera diversa se il detenuto:

  • Non collabora per una scelta consapevole;
  • Manca di collaborare per impossibilità o inesigibilità della cooperazione con la giustizia.

In merito, il remittente sottolinea come l’atteggiamento soggettivo delle due tipologie di detenuti possa essere identico. Ma che, nel caso in cui il detenuto sia accertato come impossibile alla collaborazione potrebbe invece essere maggiormente pericoloso. In effetti, il condannato che volontariamente sceglie di rimanere in silenzio lo potrebbe fare in quanto preoccupato per la propria o altrui incolumità.

Detenuti diversi e principio di uguaglianza: non fondata la questione di illegittimità costituzionale

Precedentemente, il sistema condizionava l’accesso a tutti i benefici e alle misure dei permessi premio all’utile collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter dell’Ord. Penit. Effettivamente, si assumeva questa come unica condotta idonea a dimostrare l’intervenuta rescissione dei collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata.

In seguito, l’art. 4-bis, comma 1, ord. penit. si dichiara costituzionalmente illegittimo. Questo perché non prevedeva che ai detenuti per i delitti ricordati potesse concedersi il beneficio in questione, anche in assenza di utile collaborazione con la giustizia.

Quindi, per poter presentare una richiesta di permesso premio, il soggetto condannato per reati ostativi deve sottostare a regole dimostrative più o meno severe. Questo a seconda dei motivi per cui non ha collaborato con la giustizia:

  • Più rigide: se sceglie di non voler collaborare;
  • Meno rigide: se non collabora in quanto impossibilitato.

Ciò detto, i giudici delle leggi escludono che tale differenziazione determini una lesione del principio di uguaglianza. Infatti, è corretto distinguere colui che:

  • oggettivamente può ma soggettivamente non vuole collaborare;
  • soggettivamente vorrebbe ma oggettivamente non può collaborare.

Perciò, la Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354. E inoltre, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della medesima norma in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

 

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