L’Europa conta circa 70 unicorni, cioè start up la cui valutazione supera il miliardo. Di queste, nemmeno una è italiana. E se le leggi contenute nel Codice Civile fossero la (con)causa di questa mancata competitività del nostro paese?
CODICE CIVILE E LIMITI DELLE START UP IN ITALIA
Una possibile risposta ce la offre l’analisi di Francesco Vito Tassone nel suo articolo “Startup, tutte le patologie del sistema normativo italiano: il confronto con la Germania” di cui riproponiamo i contenuti.
Tassone immagina questo scenario.
Una start up viene fondata Italia e, per una serie di fattori favorevoli, si costituisce come SPA.
In quanto tale, il Codice Civile chiede che si doti di una governance specifica, quindi un collegio sindacale (normalmente di 3 persone) e un CdA (anche questo di almeno 3 persone), a cui si affianca una società di revisione per la certificazione del bilancio.
In totale ci sono 7 soggetti giuridici che sono amministratori, le cui competenze ed esperienze potrebbero però non avere alcun legame con l’attività effettiva dell’azienda. Senza lavorare per l’azienda, e pur avendo eventuali remunerazioni basse, rappresentano però un costo importante per una società che, essendo una start up, non fattura o fattura ancora poco.
In aggiunta, proprio perché sono amministratori, il Codice Civile li ritiene responsabili nei confronti dei terzi e impone loro, in sede di approvazione di bilancio, di garantire continuità per i 12 mesi successivi, pena la liquidazione dell’azienda.
In questo contesto, tenderanno quindi alla prudenza, dato che in caso di guai ne risponderebbero personalmente e che non ricaverebbero alcun vantaggio da un atteggiamento più spregiudicato.
A ciò va aggiunto che probabilmente la preoccupazione principale di un simile CdA non starebbe nel “far performare bene l’azienda” ma nell’accontentare gli azionisti: “è più un esercizio del controllo che un’espressione della governance dell’azienda. La relazione vale più della capacità manageriale.”.
Infine, è possibile che la dirigenza operativa venga scelta dal CdA che, ricordiamo, potrebbe non avere competenze nel settore in cui si muove la start up: “in sostanza, persone che in larga parte non sanno nulla del business sceglieranno i dirigenti che operativamente gestiranno quel business.”
LA SITUAZIONE IN GERMANIA
La forma societaria più diffusa in Germania è la GmbH, simile alla nostra SRL.
Non esiste il consiglio di amministrazione, sono contemplati però più amministratori il cui unico limite ai poteri è dato dalla firma congiunta.
Indipendentemente dal fatturato non esiste il collegio sindacale, ma è possibile istituire un consiglio di sorveglianza, che spesso è interno all’azienda. I poteri di questo consiglio di sorveglianza sono decisi dai soci.
Non esistono libri sociali.
La redazione del bilancio è molto semplice: le aziende con ricavi fino a 12 milioni e 50 dipendenti presentano solo lo stato patrimoniale abbreviato e nota integrativa abbreviata. Al di sopra di tali soglie è necessario l’intervento di un revisore. L’obbligo di deposito del bilancio compare solo oltre i 40 milioni di ricavi e i 250 dipendenti.
Il management è interno e lavora per l’azienda, la gestisce e conosce il settore.
L’OSTACOLO DELLA BUROCRAZIA
Tassone fotografa così la situazione italiana:
“Il legislatore a ogni passaggio si impegna ad inasprire un sistema già eccessivamente orientato al controllo e alla responsabilità. A questa aggravante si aggiunge un profilo di investitori di formazione private equity (principalmente banche) che per storia professionale non vedono i limiti operativi di questi approcci gestionali”.
Lasciamo ai professionisti del settore legale valutare la validità di questa analisi.
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