Se un avvocato decide di comunicare con il proprio cliente tramite messaggi SMS e WhatsApp sta forse commettendo una violazione deontologica? Secondo il CNF no.
IL CASO
Una donna viene contattata tramite lettera da un avvocato che le comunica di essere il suo difensore d’ufficio in un procedimento penale e le chiede di contattarlo il prima possibile
La donna, che scopre in quel momento del procedimento a suo carico, contatta l’avvocato che fissa un appuntamento al quale però lei non si presenta.
A quel punto l’avvocato invia diversi messaggi SMS all’assistita per ribadire la necessità di un incontro il prima possibile dato che la scadenza dei termini è vicina.
La donna fa sapere all’avvocato di non aver ricevuto alcuna notifica sul procedimento penale e di avere nominato come difensore un altro legale. L’avvocato scopre ciò tramite una PEC inviata dal collega nominato.
L’avvocato d’ufficio allora invia una richiesta per iscritto alla donna, chiedendo il pagamento di una somma e avvisandola delle conseguenze in caso di mancato pagamento.
La donna si rivolge al COA di riferimento che apre un procedimento disciplinare verso l’avvocato che viene sanzionato con la censura per:
- – un uso insistente dei messaggi.
Tale comportamento contrasterebbe con l’obbligo si svolgere l’attività professionale con dignità, probità e decoro, principi da rispettare anche nelle forme e nelle modalità di trasmissione delle informazioni al cliente (art. 9, in relazione all’art. 35 co.11 del codice disciplinare); - – aver chiesto un compenso sproporzionato rispetto all’attività svolta (art. 29 comma 4 codice disciplinare).
IL RICORSO AL CNF
L’avvocato ricorre al CNF, ritenendo la sanzione eccessiva e chiedendo che venga ridotta al solo richiamo verbale. Questi i motivi a sostegno della richiesta:
- – “l’uso degli s.m.s. rappresenta una consuetudine quale sistema corrente e veloce di comunicazione e che tale uso non può integrare di per sé una violazione delle norme deontologiche”. L’avvocato dice di aver inviato pochi SMS e solo fino al momento in cui non ha ricevuto notizia della nomina del nuovo difensore. Si tratta insomma di messaggi informativi icon l’obiettivo di tutelare la cliente in un contesto di urgenza, non certo di una molestia;
- – prima di chiedere il pagamento, l’avvocato si è rivolto al COA per avere un parere di congruità, dopo il quale ha ridotto la somma da 405,00 a 250,00 euro. Tale compenso è stato calcolato secondo i parametri minimi indicati nelle tabelle del DM n. 55/2014.
MESSAGGI WHATSAPP E SMS, LA DECISIONE DEL CNF
Il CNF accoglie il ricorso e annulla il provvedimento, rilevando che:
- – “l’uso della messaggistica, che consente una comunicazione più immediata e veloce, non possa ritenersi in sé in violazione dell’art. 9 del NCDF poiché, per molti aspetti, ormai rappresenta un vero e proprio metodo di comunicazione avente anche valore legale e, che per di più, fornisce anche una valida prova nel processo” (si veda anche la sentenza n. 49016/2017 della Cassazione, secondo cui gli sms rappresentano la memorizzazione di fatti storici e possono quindi essere considerati prova documentale);
- – gli SMS inviati dall’avvocato avevano puro scopo informativo e non erano affatto eccessivi nel numero, pertanto non possono essere considerati una molestia;
- – anche il compenso ridotto non risulta affatto eccessivo.
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