Domani, 1 settembre 2020, dopo una lunga incubazione iniziata a maggio 2017, entra in vigore la riforma delle intercettazioni. Si applicherà a tutti i procedimenti iscritti dal medesimo giorno.
La principale novità della riforma riguarda la nascita di un archivio digitale presso ogni Procura nel quale verranno immagazzinate tutte le intercettazioni (telefoniche o tramite trojan), ma anche i video e tutti gli atti collegati.
Lo scopo di questi grandi archivi è garantire un maggior controllo sulle informazioni acquisite, evitarne la fuoriuscita e garantire la riservatezza dei soggetti coinvolti.
Di fondamentale importanza è il ruolo del PM, che deve assicurarsi che nei verbali derivati dalle intercettazioni non vi siano espressioni che ledono la reputazione dei soggetti coinvolti, dati sensibili o informazioni private scambiate tra difensore e assistito.
La polizia giudiziaria ha a disposizione 5 giorni per trasmettere alla Procura i contenuti raccolti tramite le intercettazioni. Una volta inseriti i verbali in archivio, la Procura deve dimostrare di non aver trattenuto alcun contenuto originale nei propri uffici e lo stesso dovranno fare le aziende che hanno fornito alla polizia gli strumenti per le operazioni di ascolto.
Il contenuto delle intercettazioni potrà essere esaminato dal giudice e i suoi ausiliari, dal pubblico ministero, dai difensore delle parti, dagli assistiti, dagli eventuali interpreti.
Sarà possibile farlo da remoto, ma ogni Procura dovrà predisporre delle sale con postazioni di ascolto il cui accesso dovrà essere controllato.
RIFORMA DELLE INTERCETTAZIONI: LE PERPLESSITÀ
La riforma delle intercettazioni e la creazione dell’archivio digitale rappresentano un passo ulteriore verso la digitalizzazione del processo penale ma, come prevedibile, possono funzionare solo a fronte di regole chiare e un valido assetto tecnologico.
Per quanto riguarda le prime, si tratta di un percorso in divenire. Basti considerare che i brogliacci rimarranno cartacei fintantoché non giungeranno indicazioni da parte del Ministero della Giustizia.
Per il secondo, sfortunatamente la riforma viene introdotta senza che sia stata prevista alcuna forma di sostegno economico che consenta alle Procure di affrontare diversi ostacoli: oltre alle carenze strumentali, vi è la mancata formazione del personale, la scarsità di questo, e l’assenza di spazi dove custodire i documenti cartacei o creare le postazioni di ascolto.
Molte Procure non sono affatto pronte e in molti se ne rendono conto.
Un esempio è il procuratore di Terni, Alberto Liguori, che, come riportato dalla rivista ‘Il Dubbio’ così si interroga: «Gli hardware scelti dal Ministero vengono utilizzati per la prima volta: se qualcosa non dovesse funzionare, cosa succederà ai dati? E la gestione del cartaceo?».
I dubbi non mancano, ma ormai è questione di poche ore prima di affrontare la realtà.
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