Caso Paragon: giornalisti e attivisti spiati, la società israeliana rescinde il contratto con l’Italia

Paragon Solutions, l’azienda israeliana produttrice dello spyware Graphite, ha interrotto il suo contratto con l’Italia dopo le rivelazioni secondo cui il software sarebbe stato utilizzato per spiare giornalisti e attivisti. Tra i nomi coinvolti figurano Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, e Luca Casarini, tra i fondatori della Ong Mediterranea Saving Humans.

La decisione di Paragon è stata riportata dal Guardian, che cita fonti vicine alla vicenda. La società israeliana, specializzata in tecnologie di sorveglianza avanzate, aveva due clienti in Italia: un’agenzia di polizia e un’organizzazione di intelligence. Entrambe sono state disconnesse dall’accesso a Graphite, un software in grado di hackerare smartphone crittografati e accedere a dati sensibili.

Il caso: spyware nei telefoni di giornalisti e attivisti

La vicenda è emersa dopo che Meta e WhatsApp hanno notificato agli interessati che i loro dispositivi erano stati infettati dal software spia. Secondo quanto dichiarato dall’azienda di Mark Zuckerberg, Graphite avrebbe potuto intercettare messaggi, foto e video senza che le vittime cliccassero su alcun link.

Uno scandalo che coinvolge mezza Europa

L’azione di Paragon non si sarebbe limitata all’Italia. Secondo il governo, almeno 90 persone in 14 Paesi europei – tra cui Belgio, Germania, Spagna e Svezia – sarebbero state vittime dello spyware. L’Unione Europea ha preso posizione sulla vicenda: “L’accesso illegale ai dati dei cittadini è inaccettabile”, ha dichiarato il portavoce della Commissione Markus Lammert, sottolineando le tutele previste dallo European Media Freedom Act per i giornalisti.

Anche l’Ordine dei Giornalisti italiani ha denunciato la gravità dell’accaduto, ribadendo che “intercettare giornalisti è vietato dalle normative europee e contrario ai principi di libertà di stampa”.

Salvini: “Scontro tra Servizi, serve chiarezza”

Alla Camera, le opposizioni – AVS, PD e M5S – hanno chiesto un’informativa urgente per chiarire se siano stati sorvegliati anche altri giornalisti. Palazzo Chigi ha confermato che almeno sette italiani sono stati vittime di un attacco hacker tramite WhatsApp, ma ha smentito il coinvolgimento dell’intelligence italiana, escludendo che giornalisti o altre figure protette dalla legge sui servizi segreti siano stati sottoposti a controllo. Il vicepremier Matteo Salvini ha commentato la vicenda con toni critici: “Non conosco questa società, ma sembra un regolamento di conti all’interno dei Servizi di intelligence. È necessario fare chiarezza”. Anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha deciso di affondare il colpo: «Se accettiamo che si intercetti un giornalista, dotato di uno status speciale, vi immaginate che cosa può fare uno Stato con dei singoli e privati cittadini? È in gioco la privacy, che significa libertà», sottolinea l’ex premier, che in una interrogazione presentata al ministro della Giustizia Carlo Nordio vuole sapere «che tipo di attività di intercettazione svolge la Polizia penitenziaria, per escludere che abbia avuto un ruolo nella vicenda Paragon. Sono certo – scrive Renzi sulla sua newsletter Enews – che Nordio smentirà. E finalmente ci dirà qual è il corpo di polizia che ha comprato il trojan da Israele. Magari scopriremo anche se qualche italiano si è prodigato per far acquistare questo materiale e ha ricevuto compensi per questo. Io non mollo».

Mentre il governo cerca di contenere le polemiche, il Copasir ha convocato per la prossima settimana un’audizione con i vertici dell’intelligence italiana per chiarire l’uso del software Graphite. Sullo sfondo resta l’interrogativo più preoccupante: quanti altri giornalisti, attivisti e cittadini europei sono stati sorvegliati senza saperlo?


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Guerra cibernetica: nuovo attacco hacker filorusso ai siti istituzionali italiani

Un nuovo attacco informatico ha colpito diversi siti istituzionali italiani. A rivendicarlo, tramite Telegram, è il gruppo filorusso NoName057(16), che ha definito l’operazione una “punizione per l’Italia con missili DDoS”. Nel mirino sono finiti i portali del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, della Guardia di Finanza, dei Carabinieri, oltre a quelli di vari ministeri, tra cui Esteri, Economia, Infrastrutture e Trasporti, Sviluppo Economico e alcuni sottodomini del Ministero dell’Interno. Per alcuni minuti, anche i siti dell’Aeronautica Militare e del Ministero delle Infrastrutture sono risultati irraggiungibili.

Grazie al tempestivo intervento dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale e della Polizia Postale, i danni sono stati limitati, con l’attivazione immediata di misure di mitigazione per ripristinare i servizi.

L’episodio segue un altro attacco, avvenuto ieri, contro i siti di banche e aziende di trasporto, sempre rivendicato dallo stesso gruppo hacker. Secondo gli esperti, si tratterebbe di azioni dimostrative a scopo propagandistico, riconducibili alle recenti dichiarazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che aveva paragonato la Russia al Terzo Reich.

L’escalation di attacchi sottolinea ancora una volta l’importanza della sicurezza informatica per le infrastrutture digitali del Paese, sempre più esposte ai rischi della guerra cibernetica internazionale.


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Esposto contro il giudice: il CNF chiarisce i limiti della condotta deontologica dell’avvocato

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF) si è espresso con la sentenza n. 310 del 5 settembre 2024 su un tema delicato riguardante il dovere di probità e i rapporti tra avvocati e magistrati.

Secondo il CNF, è deontologicamente corretto che un avvocato, in un giudizio civile, faccia rilevare l’esistenza di un esposto presentato nei confronti del giudice, a condizione che la circostanza sia vera, documentata e priva di intenti manipolativi volti a compromettere la serenità del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni.

La sentenza sottolinea che il diritto di allegazione, parte integrante della difesa, non può essere limitato nemmeno quando si tratta di questioni potenzialmente delicate come un esposto contro l’organo giudicante. Tuttavia, tale diritto deve essere esercitato con trasparenza e responsabilità, senza che la segnalazione si configuri come un tentativo di condizionare negativamente il giudice.

Richiamandosi a un precedente giurisprudenziale (sentenza n. 116 del 30 agosto 2002), il CNF ha ribadito che il rispetto e la dignità verso i magistrati non possono comprimere il diritto di difesa, purché ciò che si allega sia veritiero e documentato.

Questo pronunciamento mette in luce l’equilibrio tra il rispetto dei doveri deontologici e la tutela dei diritti della difesa, confermando che il sistema giuridico non può tollerare né abusi né compressioni indebite dei principi che regolano il processo.


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Milleproroghe, via libera dal Senato: le novità per la giustizia

Il Senato ha dato il via libera al decreto “Milleproroghe”, rinnovando la fiducia al Governo con l’approvazione del Ddl di conversione in legge del decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202. Il provvedimento, già esaminato dalla 1ª Commissione, passa ora alla Camera, senza margini di modifica, considerato che la conversione dovrà avvenire entro il 25 febbraio.

L’articolo 10 introduce diverse proroghe in materia di giustizia. Tra le principali misure, la riduzione del tirocinio per i magistrati ordinari da 18 a 12 mesi per i concorsi banditi fino al 31 dicembre 2024 e il rinvio al 1° gennaio 2026 dell’applicazione della disciplina sulla mobilità volontaria per il personale del Ministero della Giustizia.

Per gli avvocati, il decreto prolunga di un anno il regime transitorio per l’iscrizione all’Albo speciale per il patrocinio in Cassazione, permettendo l’accesso a chi maturerà il requisito dei dodici anni entro il 2 febbraio 2026. Un passo accolto con favore dall’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA): “Un’opportunità per tanti colleghi di completare il loro percorso”, ha commentato il presidente Carlo Foglieni.

Novità anche per la geografia giudiziaria, con la proroga fino al 31 dicembre 2025 delle sezioni distaccate di tribunale di Ischia, Lipari e Portoferraio. Stesso termine anche per l’adozione delle infrastrutture digitali per le intercettazioni nei procedimenti penali e per il divieto di comando o distacco del personale non dirigenziale della giustizia verso altre amministrazioni, salvo autorizzazione.

Infine, l’esame di abilitazione per gli avvocati manterrà nel 2025 le modalità semplificate introdotte negli ultimi anni, con il punteggio minimo ridotto da 105 a 90. “Una scelta che garantisce continuità e uniformità”, ha sottolineato Foglieni, ricordando il dibattito in corso sulla riforma dell’accesso alla professione.


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Il Consiglio di Stato investe sull’intelligenza artificiale per una giustizia più efficiente

Il Consiglio di Stato accelera sull’innovazione tecnologica, puntando sull’Intelligenza Artificiale per migliorare l’efficienza e la qualità delle proprie attività. L’obiettivo è chiaro: supportare i magistrati nell’analisi e nello studio delle cause senza compromettere il loro ruolo decisionale.

“Il tema dell’AI va affrontato con un approccio attento ma non di retroguardia” – ha spiegato Brunella Bruno, Magistrata Responsabile del Servizio per l’informatica del Consiglio di Stato, intervenuta all’Oracle Data & AI Forum. “Si tratta di sviluppi tecnologici che non possono essere ignorati, con limiti non rinunciabili, sia per la delicatezza e la centralità delle funzioni esercitate, sia per una valutazione sostenibile delle evoluzioni future.”

AI e Giustizia: obiettivi e strategie

La Giustizia amministrativa, pioniera del processo telematico, vede nell’AI un’opportunità per:

  • Migliorare l’efficienza, accelerando le fasi di studio e analisi delle cause;
  • Garantire sicurezza e continuità operativa, grazie a soluzioni cloud avanzate;
  • Promuovere trasparenza e accessibilità, attraverso open data disponibili per cittadini e professionisti.

Tra i progetti chiave in corso: l’introduzione dell’AI, la creazione di una piattaforma di business intelligence, la reingegnerizzazione dei portali e l’apertura dei dati al pubblico. “L’AI non sostituisce il giudice – sottolinea Bruno – ma lo supporta, fornendo strumenti avanzati per semplificare il lavoro e migliorare la qualità delle decisioni.”

Un aspetto fondamentale è la governance del progetto, che ha visto la collaborazione tra esperti IT, magistrati e partner tecnologici, garantendo una piena integrazione con il Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa.

Le sfide e i benefici della digitalizzazione

L’implementazione dell’AI nella Giustizia amministrativa ha richiesto un’attenta gestione delle criticità, a partire dalla necessità di garantire trasparenza ed evitare il rischio delle cosiddette “black box”. Inoltre, è stato essenziale sviluppare sistemi che limitino le distorsioni interpretative e garantiscano l’accuratezza delle informazioni giuridiche.

I benefici già ottenuti sono molteplici: la digitalizzazione ha ridotto l’impatto ambientale grazie alla diminuzione degli archivi cartacei, mentre l’anonimizzazione automatizzata delle sentenze garantisce un equilibrio tra privacy e accessibilità.

AI in azione: i casi d’uso concreti

Attualmente, il Consiglio di Stato ha implementato cinque applicazioni basate sull’Intelligenza Artificiale:

  1. Richiamo automatico delle fonti giurisprudenziali per una verifica immediata dei riferimenti normativi;
  2. Identificazione di casi simili e ricorsi connessi tramite ricerca semantica avanzata;
  3. Individuazione delle leggi di riferimento a partire da un atto giuridico;
  4. Analisi delle similitudini tra sentenze, migliorando la coerenza interpretativa;
  5. Strumento per l’anonimizzazione dei provvedimenti, che bilancia trasparenza e privacy.

Un riconoscimento prestigioso

Grazie a questi sviluppi, il Consiglio di Stato ha recentemente ricevuto il premio “Agenda Digitale 2024” dall’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano per il miglior progetto innovativo nella categoria delle Amministrazioni centrali. Un riconoscimento che conferma il percorso di digitalizzazione avviato già nel 2017 e che oggi si rafforza con l’integrazione dell’Intelligenza Artificiale.


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Gli imprenditori non vanno più in banca. Ora rompono il salvadanaio e si autofinanziano

Forse ci siamo sbagliati. Pensavamo che in questi ultimi 15 anni fossero state le banche ad aver chiuso i rubinetti del credito alle aziende italiane, invece pare sia avvenuto l’esatto contrario. Sono gli imprenditori che avrebbero deciso di non rivolgersi più agli istituti di credito, risolvendo lo storico problema della mancanza di liquidità attraverso il ricorso all’autofinanziamento. Come? Apportando capitali propri (di imprenditori e soci) o di terzi (attraverso il mercato dei capitali e l’azionariato diffuso). A sostegno di questa chiave di lettura segnaliamo anche la decisa diminuzione della domanda di credito avvenuta in questi anni da parte delle imprese, poiché, a seguito anche dei buoni risultati economici ottenuti, molte attività rimaste sul mercato hanno aumentato i risparmi e conseguentemente il loro utilizzo per far fronte alle spese correnti e agli investimenti.  La tendenza macroeconomica appena delineata non ha coinvolto indistintamente tutte le realtà produttive e commerciali del Paese. È verosimile che, per molte micro imprese, alla contrazione dei prestiti non sia seguita alcuna forma di autofinanziamento, bensì un progressivo deterioramento economico/finanziario che le avrebbe fatte scivolare nell’area grigia dell’insolvenza o, peggio ancora, a rivolgersi al mercato del credito illegale. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.

  • Imprese: in quasi 15 anni -329 miliardi di prestiti, ma +300 miliardi di risparmi

A fine dicembre del 2011 (inizio della crisi dei debiti sovrani), i prestiti bancari alle imprese italiane ammontavano a 995 miliardi di euro, verso la fine del 2024, invece, la quota è scesa a 666 (-329 miliardi di euro pari a una contrazione del 33 per cento). Per contro, nello stesso arco temporale i depositi bancari delle aziende sono passati da 219 miliardi a 519 (+300 miliardi pari a un incremento del 137 per cento). La contrazione del credito alle attività economiche è riconducibile alla combinazione di più fattori e in aggiunta a quelli richiamati più sopra vanno aggiunte le importanti trasformazioni registrate dal sistema bancario e imposte dalla Banca Centrale Europea (BCE) che, a seguito delle crisi finanziarie avvenute in questi ultimi decenni, ha introdotto dei parametri molto stringenti nella valutazione del merito e del rischio di credito. Dopodiché, è utile ricordare che tutti gli istituti bancari sono stati costretti ad aumentare notevolmente il livello di patrimonializzazione, con misure che hanno indotto il sistema creditizio a razionalizzare i prestiti alle imprese meno insolventi, riducendo così il rischio di veder aumentare la platea dei crediti deteriorati che sono stati ridotti grazie alla vendita delle sofferenze (mercato delle cartolarizzazioni).

  • Aiuti in calo anche al netto delle cartolarizzazioni

In questi 13 anni (2011-2024) ci sono state molte fasi in cui il credito alle imprese è sceso: negli anni dal 2012 al 2015, nel 2019 e nella prima parte del 2020 e a partire dal 2023 sino ad oggi. Va evidenziato che la fase di crescita molto sostenuta verificatasi tra la metà del 2020 fino al 2022 è stata ottenuta a seguito delle misure introdotte per fronteggiare la crisi pandemica. Ricordiamo che il governo Conte 2 e quello Draghi hanno approvato alcuni provvedimenti a sostegno del credito (compresa la garanzia statale al 100 per cento sui prestiti) che hanno consentito di incrementare i prestiti alle società non finanziarie corretti per le cartolarizzazioni e le altre cessioni.

 

  • In Ue, invece, i prestiti sono aumentati, con punte record in Francia e in Germania

Secondo i dati della BCE, tra il 2011 e il 2023 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili per un confronto europeo), non tutti i paesi monitorati hanno subito una contrazione dei prestiti bancari alle imprese. Anzi. Il dato medio dell’Area dell’Euro, ad esempio, è stato pari al +4,3 per cento (+188,6 miliardi di euro), con picchi positivi, per i big, del +61,4 per cento in Francia e del +46 per cento in Germania che, in valore assoluto, possono contare su un’esposizione degli istituti di credito verso le attività economiche che, rispetto al nostro importo, a Parigi è più del doppio e a Berlino, invece, è leggermente inferiore al doppio. Segnaliamo che tra le nazioni economicamente più importanti solo la Spagna ha registrato una flessione superiore alla nostra. Se in Italia la riduzione è stata del 30,9 per cento, Madrid ha visto scendere i prestiti del 46,7 per cento. In difficoltà anche le aziende dei Paesi Bassi che hanno subito una riduzione dell’8,1 per cento.

  • Prestiti: in forte calo soprattutto nel Centro-Sud. Record a Siena

Tra il novembre 2011 (periodo di picco massimo dei prestiti erogati alle imprese) e lo stesso mese del 2024 (ultimo dato disponibile), la maggiore contrazione delle consistenze si è verificata nel Centro (-42,6 per cento) e nel Sud (-42,4 per cento). In termini assoluti, invece, la riduzione più importante ha interessato proprio quest’ultima ripartizione geografica con un calo di 118,1 miliardi. A livello provinciale le flessioni più significative si sono verificate a Siena (-59,1 per cento), Savona (-58,9), Siracusa (-56,8), Novara (-53,8) e Rovigo (-52,4). Le uniche province che hanno ottenuto un risultato anticipato dal segno più sono state Trieste (+1,4 per cento) e Bolzano (+1,5). Il dato medio nazionale è stato del -34,9 per cento.

  • I risparmi sono cresciuti soprattutto a Nordest. Cremona, Bolzano e Enna le più “formiche”

Sempre tra novembre 2011 e novembre 2024, sul fronte dei depositi il Nordest è la macro area che ha subito l’incremento più importante pari al 178 per cento (vedi Tab. 4). La provincia con le imprese che hanno accumulato più depositi è Cremona, dove sono aumentati del 298,3 per cento. Seguono Bolzano con il +281,6, Enna con il +278,9, Salerno con il +270 e Potenza con il 257,7 per cento. L’unica provincia d’Italia che ha visto diminuire i risparmi è stata Siena con il -20,1 per cento.


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AI e diritti fondamentali: i divieti UE su categorizzazione e riconoscimento biometrico

La Commissione Europea ha recentemente pubblicato le Linee Guida per l’attuazione dell’articolo 5 dell’AI Act, stabilendo con maggiore chiarezza le pratiche vietate nell’uso dell’intelligenza artificiale. Tra le restrizioni più rilevanti, emergono i divieti riguardanti i sistemi di categorizzazione biometrica e l’identificazione biometrica remota in tempo reale da parte delle forze dell’ordine.

Categorizzazione biometrica: il pericolo della discriminazione

L’articolo 5, paragrafo 1, lettera (g) dell’AI Act vieta l’uso di sistemi di categorizzazione biometrica per dedurre caratteristiche sensibili degli individui, come razza, orientamento sessuale, opinioni politiche o affiliazione religiosa. L’obiettivo della norma è prevenire discriminazioni e proteggere la privacy dei cittadini, impedendo che dati biometrici vengano utilizzati per profilazioni ingiustificate.

Sono vietati i sistemi AI che analizzano caratteristiche fisiche o comportamentali per assegnare un individuo a una specifica categoria senza consenso esplicito e senza una giustificazione legale. Rientrano nel divieto, ad esempio, le tecnologie che riconoscono la razza o l’etnia delle persone in base a dati biometrici per finalità commerciali o governative.

Alcune eccezioni sono previste per usi ancillari legati a servizi commerciali, come i filtri per la classificazione di caratteristiche facciali nei social network o nei marketplace online. Tuttavia, questi sistemi devono essere strettamente necessari al servizio principale e non possono essere impiegati per scopi di controllo o sorveglianza.

Identificazione biometrica in tempo reale: restrizioni severe per le forze dell’ordine

L’articolo 5, paragrafo 1, lettera (h) dell’AI Act impone limiti stringenti all’uso di sistemi di identificazione biometrica remota in tempo reale in spazi pubblici per scopi di sicurezza. Questi sistemi non possono essere impiegati in modo indiscriminato, ma solo in tre casi specifici:

  1. Ricerca di vittime di rapimenti o tratta di esseri umani.
  2. Prevenzione di minacce imminenti alla sicurezza pubblica, come attacchi terroristici.
  3. Identificazione di individui già accusati o sospettati di gravi reati.

L’utilizzo di queste tecnologie deve essere strettamente circoscritto e soggetto a rigorose valutazioni d’impatto sui diritti umani (FRIA – Fundamental Rights Impact Assessment). Inoltre, l’autorizzazione al loro impiego deve essere concessa da un’autorità giudiziaria o amministrativa indipendente.

Verso un’AI più etica e rispettosa dei diritti fondamentali

Con queste linee guida, la Commissione Europea rafforza il quadro normativo per l’uso dell’intelligenza artificiale, ponendo al centro la tutela dei diritti fondamentali. L’AI Act si configura così come uno strumento essenziale per garantire che le nuove tecnologie non diventino strumenti di discriminazione o sorveglianza di massa, ma vengano utilizzate in modo etico e responsabile.


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Avvocati: la prescrizione civilistica non cancella l’illecito deontologico

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con la sentenza n. 324/2024 pubblicata il 3 febbraio 2025, ha chiarito un principio rilevante in materia di deontologia forense: la prescrizione civilistica di un diritto inadempiuto non estingue l’illecito disciplinare derivante dalla violazione dell’art. 64 del Codice Deontologico Forense, relativo all’obbligo degli avvocati di adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi.

Nel caso esaminato, il CNF ha respinto il ricorso di un avvocato che era stato sanzionato con la sospensione dalla professione per tre anni. Il legale aveva sostenuto che la prescrizione del diritto civile in questione dovesse incidere anche sulla responsabilità deontologica, ma il Consiglio ha ribadito che l’illecito disciplinare, una volta perfezionato, resta soggetto esclusivamente alla prescrizione dell’azione disciplinare e non può essere eliso dall’estinzione del diritto in sede civile.

Pur confermando la rilevanza della violazione, il CNF ha deciso di ridurre la sanzione disciplinare a due anni di sospensione, tenendo conto dell’incensuratezza del professionista e del fatto che, nel procedimento penale a suo carico, per due dei quattro capi d’accusa era intervenuta la prescrizione. Tuttavia, ha ritenuto irrilevante l’asserito stato di bisogno economico dell’incolpato, sottolineando la mancanza di prove concrete a supporto di tale condizione.

La decisione conferma l’orientamento rigoroso del CNF nel garantire il rispetto delle norme deontologiche, indipendentemente dalle conseguenze civili o penali di un comportamento inadempiente.


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AI Training e diritto d’autore: verso un registro unico per l’opt-out?

Si avvicina la data del 2 agosto 2025, termine entro il quale i fornitori di modelli di intelligenza artificiale generativa dovranno conformarsi agli obblighi in materia di diritto d’autore previsti dall’AI Act (Regolamento UE 2024/1689). In particolare, il rispetto del diritto d’autore nell’attività di text e data mining (TDM) per l’addestramento dei modelli AI impone la possibilità di esercitare un’opzione di riserva (opt-out) da parte dei titolari dei diritti. Tuttavia, la modalità con cui questa riserva dovrebbe essere espressa resta ancora un tema controverso.

AI e Copyright: un equilibrio difficile

L’AI Act stabilisce che l’addestramento di un modello di IA per scopi generali può avvenire solo se il contenuto è stato acquisito in modo legittimo e se il titolare del diritto d’autore non ha esercitato l’opt-out. Ma come dovrebbe essere espressa questa riserva? Attualmente, le soluzioni proposte includono il Robot Exclusion Protocol (robots.txt), che tuttavia è considerato obsoleto dall’industria culturale, e nuove tecnologie come “Spawning” e “ai.txt”, sviluppate per regolamentare in modo più specifico l’addestramento AI.

Nel frattempo, il Codice di Buone Pratiche per l’Intelligenza Artificiale, promosso dall’AI Office europeo, sta incontrando resistenze proprio per le incertezze sulle modalità di opt-out. Inoltre, il Tribunale di Amburgo, con la sentenza Kneschke/LAION del 27 settembre scorso, ha affermato che una riserva espressa in linguaggio naturale è valida, aprendo il dibattito su possibili nuove interpretazioni del regolamento.

L’idea di un registro unico per l’opt-out

Per risolvere il problema, la Commissione Europea ha avviato uno studio di fattibilità per la creazione di un registro centrale delle riserve, che potrebbe essere gestito dall’Ufficio dell’Intelligenza Artificiale (AI Office) o dall’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO). L’obiettivo sarebbe fornire una piattaforma chiara e accessibile per chi desidera proteggere le proprie opere dall’addestramento AI.

Tuttavia, permangono interrogativi sulla sostenibilità economica di questa iniziativa e sui possibili oneri burocratici per i creatori di contenuti. Se da un lato un registro centralizzato potrebbe garantire maggiore trasparenza e certezza giuridica, dall’altro rischia di trasformarsi in un ulteriore ostacolo per i titolari dei diritti, costretti a formalizzare una richiesta che, di fatto, dovrebbe essere implicita nel diritto d’autore stesso.

Prospettive future

La discussione su come bilanciare la tutela del copyright con l’innovazione nel settore dell’intelligenza artificiale è tutt’altro che chiusa. Se da un lato l’Europa vuole favorire la crescita del settore AI, dall’altro non può trascurare le esigenze di autori, editori e creatori di contenuti. La soluzione potrebbe passare per uno standard universalmente riconosciuto che permetta un’espressione semplice e inequivocabile dell’opt-out, senza inutili complicazioni.

Il dibattito è aperto, ma il tempo stringe.


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La sentenza n. 6059/2025 conferma l’ordinanza di un Comune del Napoletano. Le immagini satellitari provano che l’immobile è successivo al 1967: tocca al proprietario dimostrare…

FERMO DEI SISTEMI CIVILE del distretto di Reggio Calabria e fermo delle consultazioni del distretto di Napoli per attività di manutenzione straordinaria

Si comunica che, per attività di manutenzione straordinaria, si procederà all’interruzione dei servizi SICID, SIECIC e SIGP del civile su tutti gli uffici del distretto di Corte di Appello di Reggio Calabria

dalle ore 14:00 alle ore 18:30 del giorno 14/02/2025

Durante l’esecuzione delle attività di manutenzione, rimarranno attivi i servizi di posta elettronica certificata e saranno, quindi, disponibili le funzionalità relative al deposito telematico del settore civile da parte degli avvocati, dei professionisti e degli altri soggetti abilitati esterni anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici potrebbero pervenire solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.

Sempre in suddetto orario, non sarà possibile consultare in linea i fascicoli degli uffici del distretto di Reggio Calabria e del distretto di Napoli e procedere alla pubblicazione di una nuova inserzione sul Portale delle Vendite Pubbliche per le vendite di tipologia giudiziaria per gli uffici di tali distretti.

Le modifiche potrebbero interessare l’intero territorio nazionale.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida disponibile al seguente LINK GUIDE


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